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Questa mattina ha avuto luogo un Consiglio Comunale in via telematica richiesto dalle forze di opposizione.
La storia inizia circa un mese fà con una lettera inviata al Sindaco dalle forze di opposizione prima degli ultimi decreti del governo, in cui si chiedevano rinvio di IMU, annullamento di TARI per il 2020, annullamento di Cosap per il 2020 e annullamento della tassa di soggiorno sempre per il 2020 ed agevolazioni per residenti e commercianti nel pagamento dei parcheggi.
Il Sindaco, secondo uno stile consolidato non ha nemmeno preso in considerazione la richiesta e le forze di opposizione hanno richiesto un Consiglio straordinario in merito.
Nel decorrere dei tempi per avere il Consiglio sono intervenuti in soccorso del Sindaco decreti del Presidente del Consiglio secondo i quali molti dei suddetti tributi sono finiti a carico dello stato confemando l’opportunità delle misure che avevamo richiesto.
Nonostante questo e nonostante un forte richiamo al Sindaco affinchè prendesse misure a sostegno dei propri cittadini, con ordini di scuderia ben precisi i consiglieri di maggioranza hanno respinto ogni bozza di delibera che le forze di minoranza compatte avevano avanzato.
E’ stato un atto vergognoso ed irrispettoso delle situazioni di criticità in cui versano famiglie e attività del comune.
Sono poi state poste in votazioni altri temi non avversati dalla minoranza fino ad arrivare all’ultimo punto secondo il quale il Comune dovrebbe farsi carico totalmente di una fidejussione per un finanziamento a favore del consorzio delle strade di cui possiede il 50% delle quote.
La minoranza compatta ha votato contro e la delibera non è passata per l’assenza del consigliere Giovannetti in posizione di incompatibilità. Si è scatenata l’ira del Sindaco che ha minacciato i consiglieri di minoranza perdendo letteralmente le staffe.
E’ un atteggiamento tipico del nostro primo cittadino, abituato a fare quello che vuole e pronto a saltare su tutte le furie quando non ci riesce.
Un consiglio comunale durato oltre cinque ore che a messo a nudo tutti i punti deboli di questa Amministrazione in un momento così delicato per Massa Marittima.
C’è necessità di provvedimenti veloci e concreti ed invece si va avanti con i “faremo, pensiamo, progettiamo etc etc” ed intanto la nave affonda.
Ieri sera si è svolto il primo consiglio comunale, in via telematica, con la presenza di tutti i consiglieri.
Il Sindaco, nelle comunicazioni, ha introdotto la difficoltà di redazione di un bilancio di previsione nella situazione di emergenza in cui ci troviamo in mancanza di risposte certe su finanziamenti/disposizioni da parte del Governo centrale.
Su questo concetto , nello svolgersi del consiglio, ho voluti chiarire che normalmente i bilanci di previsione si redigono alla fine dell’anno che precede e si fanno gli aggiustamenti ogni tre mesi in funzione dei cambiamenti intervenuti. Questa era un’occasione classica inquanto la previsione andava fatta a Dicembre 2019 e doveva subire modifiche anche sostanziali a marzo 2020 condizionato dal Covid 19.
Ovviamente il concetto non è stato minimamente recepito.
Dopo le comunicazioni del Sindaco, l’amico Dr Marco Mazzinghi ha presentato alcune considerazioni sulle grandi difficoltà delle strutture sanitarie locali ed ha lanciato una richiesta al Sindaco affinchè portasse avanti una campagna di controlli sierologici sulla popolazione.
Ovviamente Il Sindaco ha dato risposte vaghe ed ha lasciato decadere il tema.
Si è passati alla presentazione dei beni del Comune da mettere in vendita, beni riproposti a prezzi invarati rispetto a 5-6 anni fà ; ho rilevato che le valutazioni sono assolutamente fuori mercato.
Al Sindaco non ha minimamente affrontato il problema poichè ovviamente quei valori sono poste attive che tanto fanno comodo al loro bilancio che altrimenti non potrebbe proporre investimenti.
E’ stato presentato l’elenco delle Opere pubbliche da realizzare negli anni 2020-2021-2022 nella speranza di ottenere una serie di finanziamenti di cui oggi esiste solo l’essere in graduatoria; oltretutto si rileva un monte investimenti per il 2020 di oltre 4 milioni di euro senza avere al 15 Aprile, in gran parte, coperture, progetti esecutivi e gare assegnate.
E’ facile capire che è solo propaganda.
Infine è stato presentato un elenco di attività su cui il Comune dovrebbe affidare delle concessioni fra cui la gestione del mattatoio (ma quando smetteranno di raccontare frottole), la piscina (ritengono di ultimare lavori di efficientamento energetico e lasciare alla Provincia di completare gli altri lavori di ristrutturazione) su cui vergognarsi dovrebbe essere il minimo che potrebbero fare.
Oltre alle osservazioni portate avanti dal nostro gruppo , c’è stato un lungo intervento di Alessandro Giuliani teso ad evidenziare che tutto il documento di programmazione portato in approvazione non ha minimamente toccato lo stato di emergenza sanitaria prima ed economica dopo che il Corona Virus ha portato.
Si è chiuso, a parte altre delibere marginali, con una filippica del Sindaco che pretendeva una condivisione dei temi alla luce dello stato di emergenza.
E’ semplicemente incredibile che un Amministrazione possa pretendere una approvazione di documenti fasulli, errati e incongruenti solo per il fatto che c’è una emergenza sanitaria.
Purtroppo i cittadini ne verranno a sapere ben poco.
Unica nota lieta è stata una posizione compatta di tutte le forze di minoranza per quanto valga assolutamente niente.
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Con la legge 30 marzo 2004 n.92, fu istituito il Giorno del Ricordo in memoria dei quasi ventimila torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le cavità carsiche usate come discariche) dalle milizie PARTIGIANE COMUNISTE della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.
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La prima ondata di violenza esplose dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani COMUNISTI jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali.
Con il crollo del regime – siamo ancora alla fine del 1943 – tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue.
Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, infatti, iniziarono la loro battaglia di (ri)conquista di Slovenia e Croazia – di fatto annesse al Terzo Reich – senza fare mistero di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.
Fino alla fine di aprile del 1945 i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi che avevano dominato Serbia, Croazia e Slovenia con il pugno di ferro dei loro ben noti sistemi (stragi, rappresaglie dieci a uno, paesi incendiati e distrutti).
Ma con il crollo del Terzo Reich nulla ormai poteva più fermare gli uomini di Tito, irreggimentati nel IX Korpus, e la loro polizia segreta, l’OZNA (Odeljenje za Zaštitu NAroda, Dipartimento per la Sicurezza del Popolo). L’obiettivo era l’occupazione dei territori italiani.
Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria (fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana) e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia.
Non aveva fatto i conti, però, con le truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica. La prima formazione alleata a liberare Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica. Fu una vera e propria gara di velocità.
Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.
Infatti, la Divisione Neozelandese del generale Freyberg entrò nei sobborghi occidentali di Trieste nel tardo pomeriggio del 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2, impedendo in tal modo a Tito di sostenere di aver «preso» Trieste.
La rabbia degli uomini di Tito si scatenò allora contro persone inermi in una saga di sangue degna degli orrori rivoluzionari della Russia del periodo 1917-1919.
Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.
Fin dal dicembre 1945, il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi».
In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi. Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).
Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
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Il Sindaco, se lavoratore dipendente (ad esempio dell’ENEL), RISCUOTE PER INTERO lo stipendio dovutogli dalla propria Azienda.
Ciò pur lavorando (ovvero dovendo lavorare) al 50%, cioè per la metà delle ore dovute.
L’Azienda (ad esempio l’ENEL) paga lo stipendio al suo dipendente ma ha diritto di farselo rimborsare dal COMUNE ove egli indossa la fascia tricolore.
Quel Sindaco, però, potendo firmare egli stesso i permessi per non recarsi al lavoro, di fatto NON LAVORA NEMMENO UN’ORA per l’Azienda di cui è dipendente (ad esempio l’ENEL).
In più, furbacchione, avendo scelto di riscuotere lo STIPENDIO INTERO dall’Azienda di cui è dipendente (ad esempio l’ENEL), percepisce anche il 50% dell’indennità di Sindaco che, nei comuni tra 5.000 e 10.000 abitanti, è di 2.510,00 euro.
All’ultimo Consiglio Comunale, è stata portata in approvazione la delibera che consente la convenzione tra Comune e il gruppo facente capo alla Conad.
Dopo una illustrazione del Sindaco e una relazione quanto mai impacciata di Santini sullo studio redatto in merito alla opportunità commerciale e sociale, vi sono stati gli interventi di Giuliani e Bussola che hanno cercato disperatamente di giustificre il proprio si rinviando ad una impossibile futura delibera di Consiglio sull’argomento.
Tralasciando alcuni atti di teatrino di bassa lega di provincia tra Giuliani e Terrosi, mi sono sentito in dovere di esprimere tre concetti fondamentali:
-un imprenditore non investe tre milioni di euro per una struttura di vendita in una cittadina in calo demografico continuo e in trend di invecchiamento; quale è la contropartita? è tutto alla luce del sole?
-le azioni dell’Amministrazione devono essere tese alla realizzazione di posti di lavoro nella produzione per mettere in tasca ai cittadini quel denaro che tanto serve per andare a spendere. Qui, prima si realizza dove spendere e poi si spera che qualcuno trovi da guadagnare.
-la millantata creazione di 14-15 posti di lavoro al centro commerciale verrà regolarmente bilanciata dalla perdita di posti in Coop e tra i negozianti
Era facile raccogliere consensi dal cittadino comune promettendo un supermercato che creasse concorrenza, ma a quale prezzo? Ne riparliamo dopo l’estate.
Ultima, ma non ultima, la fretta del Sindaco di andare all’approvazione della delibera era dettata esclusivamente dalla necessità pressante di incassare i 90.000 euro di oneri per destinarli a coprire qualche buco o necessità impellente; gli interessi dei cittadini possono attendere.
Infine una piccola riflessione: il Partito Repubblicano nella propria storia si è sempre proposto a paladino della classe commerciante, ed ora?
State tranquilli, la gente vi giudicherà.
Un paio di mesi fa pubblicai sulla stampa un’informazione in cui si evidenziava che il Comune di Massa Marittima aveva un debito verso l’Unione dei Comuni di circa 2 milioni di euro.
Il Sindaco Giuntini si affrettò a scrivere che il Sottoscritto aveva sbagliato i conti e che aveva un piano di rientro che consentiva pian piano di sanare il tutto.
Poichè non amo i ping pong sulla stampa tesi sempre a convincere in modo poco chiaro chi è disinformato, lasciai correre aspettando l’occasione propizia.
Questa mattina, al termine di un Consiglio dell’Unione di cui sono un membro di minoranza, ho chiesto ufficialmente alla Sig.ra Orizzonte, Ragioniere Capo nonchè Segretario pro tempore, davanti a tutti i componenti del Consiglio, a quanto ammontasse ad oggi il debito del Comune di Massa Marittima verso l’Unione e la risposta è stata di circa 1,5 milioni di euro.
E’ vero che l’Unione riesce ugualmente a non andare in anticipazione di cassa e quindi a non pagare interessi passivi ma questo non significa che il debito non c’è.
Ovviamente il Sindaco, disturbato da questa forzata ammissione ha cercato di tergiversare spostando la discussione per altre direzioni, ma rimane l’unico dato certo che il nostro Comune DEVE circa 1,5 milioni di euro all’Unione dei Comuni.
Non passa giorno che qualcuno non si esprima sulle condizioni del nostro Ospedale ma nessuna voce aurorevole riesce a convincere.
Proviamo a fare un pò di chiarezza:
-Pediatria: nomina di più pediatri per coprire le necessità ma di fatto non più disponibilità dello stesso professionista durante la settimana
-Chirurgia: pensionamento di due chirurghi e quindi non più reperibilità notturna e festiva, con una comunicazione che programma un bando a marzo 2020 e quindi stato di disagio quanto meno fino alla prossima estate ammesso che si risolva
-Laboratorio analisi: pensionamneto della Dirigente e nessuna previsione di sostituzione
-Radiologia: pensionamento di un Radiologo e mancanza di reperibilità notturna e festiva
-Pronto soccorso: organico assolutamente sotto dimensionato e dirottamento di una fetta di pazienti a Grosseto dove il pronto soccorso è alla paralisi (gente anche tre giorni sulla barella in attesa di sistemazione in qualche reparto)
Il quadro è tipico di un Ente in fase di smobilitizzazione.
Mancanza di medici, significa mancata assistenza ma anche scomparsa di posti per infermieri e tecnici.
Abbiamo il diritto sacrosanto di sapere la verità! Bisogna smettere di rimbalzare il problema , di rinviarlo, di delegare le risposte o di riproporle in maniera manipolata.
Non vogliamo risposte dai Politici, vogliamo risposte dalla Dirigenza ASL in via diretta!
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