Archivi per la categoria ‘Massa fantastica’
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CHIUNQUE AVESSE LA NOSTRA RICCHEZZA ARTISTICA
SAPREBBE VALORIZZARLA MEGLIO DI NOI
Ne è un esempio il prezioso dipinto tardomedievale
presso la Fonte dell’Abbondanza
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Nel 1999, presso la Fonte dell’Abbondanza in Massa Marittima, è stata rinvenuta una preziosa testimonianza pittorica risalente alla metà del Tredicesimo secolo.
Il Murale, comunemente detto “Albero della Fecondità”, è stato oggetto di approfonditi studi e sembra assurgere al ruolo di “unicum” nel pur vasto panorama artistico medioevale italiano.
Il Comune di Massa Marittima, di concerto con la Soprintendenza di Siena, ma in forme alquanto discutibili, ne ha promosso il restauro e dal 6 Agosto 2011, dopo lunghi anni, è tornato pubblicamente visibile.
Ma, poco dopo la fine del più recente intervento conservativo, esaminate doverosamente le risultanze di esso, giunsi alla conclusione che le operazioni di restauro non erano state condotte nella maniera più opportuna.
Numerose porzioni del Murale, infatti, erano state ridipinte arbitrariamente, senza alcun rispetto dei caratteri artistici originali dell’Opera.
Ai miei occhi, l’autenticità del Murale risultava FORTEMENTE PREGIUDICATA da una campagna di restauro (parlo dell’aspetto integrativo) affrettata e irrispettosa.
Diligentemente, dunque, intesi rappresentare le mie perplessità al Ministero competente.
La Soprintendenza, però, mesi dopo, ebbe a comunicarmi di aver effettuato i doverosi controlli sulle modalità di esecuzione dell’intervento e di avere anche promosso un sopralluogo da parte dell’Istituto Centrale di Restauro di Roma (dicesi eseguito il 15.02.2012).
Manco a dirlo, tutto risultava a posto: le operazioni erano state condotte correttamente, lo stato del Murale era buono e nulla ne aveva recato pregiudizio.
La questione fu liquidata con un laconico «Le operazioni di restauro eseguite sull’Albero della Fecondità risultano sostanzialmente corrette».
Peccato che tali controlli furono fatti SENZA MINIMAMENTE DARMENE CENNO così come SENZA AVERMI CHIESTO, preliminarmente, i doverosi chiarimenti nel merito delle mie rimostranze.
E, più che tutto, nonostante le reiterate richieste, SENZA PERMETTERMI DI ESPORRE LA MIA POSIZIONE E SENZA NEMMENO AVER ACQUISITO IL MATERIALE FOTOGRAFICO SU CUI SI FONDAVANO LE MIE RAGIONI (che mi richiesero solo successivamente all’essersi espressi).
Ciò proprio quando [anche attraverso spot televisivi] si sbandierava la tanto decantata necessità che i Cittadini collaborassero con le Istituzioni.
Bene, io ho cercato di farlo ma NON ho avuto riscontro, se non risposte letteralmente umilianti, tese unicamente a travisare la realtà dei fatti e a negare l’evidenza.
Evidentemente, le Istituzioni accettano solo la collaborazione che ne esalta le gesta e rifuggono quella che mette in evidenza eventuali errori commessi.
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L’Arca di San Cerbone fu commissionata da tal Peruccio – membro dell’Opera della Cattedrale di Massa Marittima (lo stesso che nel 1316 si era fatto carico di giungere al compimento della Maestà di Duccio di Buoninsegna destinata all’Altare Maggiore) – e fu terminata nel 1324, come informa l’iscrizione in lettere capitali che corre al di sotto dei rilievi figurati.
ANNO D(OMI)NI MCCCXXIIII I(N)DI(C)T(IONE) VII MAGIST(ER)
PERUCI(US) OP(ER)ARI(US) EC(C)L(ESIA)E
FECIT FI(ERI) H(OC) OPUS MAG(IST)RO GORO GREGORII DE SENIS.
Trattasi di un VERO E PROPRIO CAPOLAVORO della scultura gotica senese, come pochi altri – del genere – sono giunti a noi.
Come attestano il verbale del 4 giugno 1600 circa la ricomposizione delle reliquie di san Cerbone nel monumento marmoreo (dopo il loro rinvenimento il 26 giugno 1599) e una “relatione” in volgare relativa al medesimo evento, l’Arca fu collocata sotto la mensa dell’Altare Maggiore negli ultimi anni del Cinquecento.
In seguito, fu inglobata nel nuovo altare costruito tra il 1623 e il 1626 da Flaminio Del Turco; in origine, però, probabilmente, doveva essere sorretta da colonnine marmoree (forse tra quelle reimpiegate da Del Turco come sostegno della mensa eucaristica).
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NELL’IMMAGINE SOTTO, OTTO “TORSELLI” DELLE MONETE TARDOMEDIEVALI CONIATE DALLA ZECCA DI MASSA TRA IL 1317 E IL 1319 [tutti di proprietà del Museo Civico di Siena].
IL 4°, DA SX IN ALTO, E’ QUELLO DEL DENARO PICCOLO [molto rovinato, ma l’unico], CONSERVATO PRESSO IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI MASSA.
IL 3°, DA SX IN BASSO, E’ QUELLO DEL GROSSO DA 20 DENARI, CONSERVATO PRESSO IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI MASSA.
GLI ALTRI SEI, TUTTI DEL GROSSO, SI TROVANO PRESSO IL MUSEO CIVICO DI SIENA.
OLTRE A QUESTI, ESISTONO SOLAMENTE ALTRI DUE ESEMPLARI, SEMPRE DEL GROSSO: UN CONIO DI MARTELLO E UN CONIO DI INCUDINE [anche questo l’unico], CONSERVATI PRESSO LA PINACOTECA DI VOLTERRA.
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Angiolo (o Agnolo) di Ventura è stato un importante architetto e scultore senese, attivo in Toscana nella prima metà del Trecento.
Si hanno sue notizie solo a partire dal 1311 e la sua morte sarebbe avvenuta successivamente al 1349.
Il Vasari lo cita nelle “Vite” – insieme ad Agostino di Giovanni – nella biografia dal titolo: “Agnolo e Agostino”.
Dai pochi documenti che lo menzionano, risulta che nel 1329 riscosse un pagamento per alcuni lavori compiuti nel Campo di Siena [“in pede porte Salarie”].
Insieme al collega Agostino di Giovanni, nel 1325, infatti, aveva disegnato la torre del Palazzo Pubblico, meglio nota come Torre del Mangia.
Nel 1333, invece, assieme ad altri undici maestri, fece parte dello “staff tecnico” a cui fu richiesto un rapporto sui lavori di ampliamento del Duomo verso Vallepiatta.
Fu anche architetto militare, attività svolta [forse] anche a Siena con i progetti per la Porta di Sant’Agata (1325) e la Porta Nuova, oggi Porta Romana (1327).
Nel 1334, con Guido di Pace e Meo di Rinaldo, si occupò dell’edificazione del Cassero di Grosseto.
Due anni dopo, nel 1336, insieme a Domenico di Giovanni, Romeo Pepi e Giovanni Alberti, partecipò alla costruzione della fortezza di Massa Marittima: quest’ultima notizia è del 31 gennaio 1349, allorché egli figurò in Siena come testimone in un atto di vendita.
In particolare, Angiolo di Ventura – ovvero, semplicemente, l’Agnolo – sarebbe l’architetto al quale si deve il progetto del maestoso Arco [con una corda di 21,70 metri ed una freccia di 7 metri] col quale si intese collegare la Torre del Candeliere alle Mura Senesi.
È probabile che egli, pur ricordato principalmente come architetto, possa identificarsi anche con quell’Angelo da Siena che, nel 1330, insieme ad Agostino di Giovanni, scolpì il monumento Tarlati ad Arezzo; tale identificazione, proposta da Milanesi (1854) sulla scorta di Vasari (che, peraltro, attribuisce a Giotto il disegno del monumento), è accettata da pressoché tutta la maggiore critica.
Il cenotafio del Vescovo e Signore di Arezzo, Guido Tarlati (+1327), situato nel duomo e completato nel 1330 [Hoc opus fecit magister Augustinus et magister Angelus de Senis MCCCXXX], resta l’unica sua opera firmata e datata.
Tra le sculture assegnate al Maestro senese, soltanto le sette formelle dei due altari dei Santi Ottaviano e Regolo (1320 ca.), già nel duomo di Volterra (oggi nel Museo Diocesano di Arte Sacra), trovano concorde la critica.
Delle altre attribuzioni (Vasari, Le Vite – Venturi, 1904 – Valentiner, 1925), molte oggi rifiutate, sono da menzionare – restando dubbie le ipotesi attributive – il sepolcro del Vescovo Ranieri degli Ubertini (+1301) in San Domenico ad Arezzo (Valentiner, 1927) e le statuette di apostoli e profeti nel duomo di Massa Marittima (Carli, 1946), queste ultime avvicinate spesso e più ragionevolmente all’arte di Goro di Gregorio.
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Nel 2017 ricorrevano i 700 anni dalla coniazione delle monete battute dal Libero Comune di Massa di Maremma: il Denaro Piccolo (o Pìcciolo) e il Grosso da 20 denari.
La Zecca fu operativa solamente per poco più di due anni, dal 1317 al 1319, e aveva sede nella palazzina – allora di proprietà pubblica, poi appartenuta alla famiglia dei Conti Alberti di Monterotondo – che si apre sull’attuale Via Norma Parenti e che oggi, in parte, ospita la Sede della Società dei Terzieri.
Con la dominazione Senese su Massa [dal 1336], l’edificio divenne proprietà dei Conti di Sassetta (un ramo dell’importante famiglia Gherardesca) che ne fecero una propria prestigiosa residenza privata.
Questi ultimi, nel 1401, dovettero cedere alle pressioni della Curia che volle acquistare il fabbricato per ampliare il Palazzo Vescovile, trasferito forzosamente nell’adiacente Palazzina dei Conti di Biserno [che si affaccia sulla Piazza del Duomo] dopo che i Senesi ebbero preso possesso del Castello di Monteregio.
Una curiosità che mi fa impazzire… (!!!)
Ma dovevano trascorrere ancora 100 anni esatti [100 anni esatti…] prima che qualcuno si ponesse seriamente il problema di “voltare” la Cupola di Santa Maria del Fiore [iniziata nel 1294-1295 sulle vestigia di Santa Reparata], pur già eretta fino al tamburo ottagonale che avrebbe dovuto sostenerla…
Solo nel 1418, infatti, l’Opera del Duomo bandì il concorso pubblico per la sua costruzione a seguito del quale, pur senza vincitori “ufficiali”, si giunse ad affidarne l’incarico a Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti.
E’ certo che Arnolfo di Cambio – architetto progettista del Duomo – avesse previsto di caratterizzare il suo edificio con una struttura assai diversa e più ampia del tradizionale tiburio delle Cattedrali dell’epoca: tuttavia, la Cupola avrebbe dovuto avere un aspetto ben più convenzionale di quello conferitole dal Brunelleschi.
La costruzione della Cupola ebbe inizio il 7 agosto 1420 e la struttura – alla base della lanterna – fu completata il 1º agosto 1436.
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