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di Maurizio Bardi – berdireport.com
I miliardi del GAL (Gruppo di Azione Locale) Lunigiana
Il Gal Sviluppo Lunigiana Leader II si è costituito sul finire degli anni 90 con lo scopo di utilizzare fondi della Comunità Europea per rilanciare e contribuire allo sviluppo turistico e culturale della Lunigiana. I principali azionisti di questa società di diritto privato sono enti pubblici. Amministrando fondi pubblici, quindi, da un punto di vista giuridico l’attività del Gal equivale a quella esercitata dagli enti pubblici. I risultati che ha ottenuto sono quasi invisibili, i miliardi che ha gestito fino ad oggi sono stati molti come pure le polemiche: in questi anni si sono susseguiti ispezioni della Guardia di Finanza, inchieste giornalistiche, interpellanze al governo regionale, indagini della magistratura, perquisizioni, avvisi di garanzia. Dentro il GAL c’è del marcio. Lo posso dire con certezza perchè l’ho visto direttamente, l’ho toccato con mano. E ho deciso di raccontarlo.
Le prime richieste di denaro
Nel 1999 mi viene affidato dal Gal un incarico per la realizzazione di un progetto transnazionale denominato “I segreti dei menhir nelle terre d’Europa”, che prevede, in sintesi, la catalogazione delle statue stele di molti territori europei in schede digitali (comprensive di testi e di foto per oltre 1000 pagine Web) . L’importo del lavoro è di 330 milioni d vecchie lire. Nel novembre 1999, Giordano Manetta e Claudio Novoa, funzionari del Gal, entrambi incaricati dalla loro struttura di seguire il progetto, cominciano a farmi richieste di denaro, in un primo tempo allusive, poi ben precise. Concretamente vogliono 15 milioni a testa per non ostacolare la realizzazione del progetto. Parlo della vicenda con il Presidente del Consiglio di Amministrazione. Si mostra sorpreso, si scusa per la situazione e assicura che interverrà per eliminare il problema. Nonostante ciò nulla cambia e le richieste di Manetta e di Novoa continuano. Ne parlo allora con Enrico Petriccioli (coordinatore-direttore della società e assessore della Comunità Montana), colui che in pratica gestisce il Gal. Petriccioli mi invita a pranzo, ascolta le mie proteste, poi mi dice: «Pagali, Novoa e Manetta, pagali, però dai qualcosa anche a me, tre milioni (di Lire) per cominciare bastano.» Mi tranquillizza, mi rassicura con voce amichevole, rotonda. Che io paghi, poi «mi sarà riservata una quota di “Lunigiana on Line”, un progetto in cantiere con un badget di 700 milioni». Fantastico, sembra una lontra!
Pagare o non pagare?
Le strade sono solo due: la prima, quella di pagare, è la più vantaggiosa, la più sicura. Si tratta di versare una quota ma poi non vi saranno intoppi e molte strade si apriranno; la seconda, tutta in salita, è quella di denunciarli, chissa con quali risultati, probabilmente catastrofici per me. Confesso di essere entrato in crisi, di avere pensato di seguire la via della tangente. Non l’ho mai fatto. Ma qualche scrupolo si può metterlo da parte in un mondo in cui dominano le lontre. Però pagare la tangente mi sconquassa, scompagina il mio spirito, lo sento come un’umiliazione profonda per me e per tutti quei cittadini che sono fuori da questi giri. Decido di denunciarli, mi servono le prove.
La stupidità delle lontre
Comincio con lo stare al gioco, dico ai tre che pagherò, però faccio presente l’esosita’ della richiesta. Poi cerco di rinviare i tempi di pagamento. Manetta e Novoa richiedono metà dell’importo subito, metà più avanti. Manetta, su mia richiesta, mi rilascia una nota di collaborazione firmata di Lit. 7.0000.000 con data 18 novembre 1999. Mi sembra incredibile, non mi sembra vero: Manetta è dipendente del Gal e per di più è colui che ha il compito di seguire la parte amministrativa del progetto. Entro in ufficio da Petriccioli e gli dico: «Fammi anche tu una nota di collaborazione come quella di Manetta e ti pagherò subito i tre milioni». Strabiliante, accetta! Gli chiedo di firmarla e lui la firma. Impossibile da credere, eppure è vero: il coordinatore di un struttura equiparata ad ente pubblico che rilascia fatturazione per consulenze (mai avvenute) ad un suo fornitore! E’ come se un sindaco rilasciasse una fattura per consulenza a chi ha ricevuto una concessione edilizia! Pochi vantaggi ha avuto la Lunigiana dai miliardi arrivati tramite il Gal, semplicemente perchè le lontre sono incapaci di pensare e vedere oltre il loro piatto, il loro pranzo. Quello che caratterizza il regno delle lontre non è la corruzione, è la corruzione mescolata alla stupidità, che diventa comica. Il senso del comico in poltica è molto più crudele dell’aggressività dei lupi. Il potere dei lupi è tragico ma è provvisto di forza, di identità, di coraggio. Il potere comico delle lontre non produce risultati, alimenta solo la loro ingordigia e la loro stupidità. E il territorio intorno impaludisce. Come la Lunigiana.
Diario di ordinaria corruzione
Ho le fatture in mano (tranne quella di Novoa che dice che la farà nel momento in cui riceverà i soldi) e la banda del Gal pretende di essere saldata. Nonostante gli accordi sottoscritti, non ho ancora ricevuto pagamenti per il lavoro già fatturato. Inizia così la trattativa. La banda del Gal vuole i soldi prima. Io chiedo prima di incassare, «poi – gli dico – pagherò». Dal mese di dicembre 1999 al mese di settembre 2000 si svolge una dura guerra di posizione: Novoa e Manetta chiedono di incassare prima che il Gal liquidi i miei compensi; io mi rifiuto di pagare alcunchè se prima non avrò avuto ciò che mi spetta per il lavoro effettuato. Ecco la cronaca. Nel mese di febbraio del 2000, per telefono, chiedo spiegazioni a Manetta, in qualità di responsabile amministrativo del Gal. Manetta mi risponde che se voglio incassare devo prima accettare le loro richieste. (Il testo di questa conversazione telefonica è stato registrato e poi consegnato all’autorita’ giudiziaria). Il 15 marzo 2000 invio una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno al Presidente del Gal. In essa rammento le pressioni e le richieste che stavo subendo. Gli chiedo di intervenire. Faccio espressamente presente che Manetta subordina i pagamenti alla richiesta di tangenti. Il Presidente mi assicura ancora un suo intervento al fine di eliminare il problema. Faccio fatica a resistere alle richieste della banda delle lontre. Per di più devo girare l’Italia e l’Europa in lungo ed in largo per terminare il lavoro entro i tempi previsti dal contratto. Ho già investito e speso molti soldi e non ho ancora incassato una lira. Il 28 giugno 2000 invio una lettera raccomandata al Gal Sviluppo Lunigiana, con la quale comunico che sono giunto quasi al termine dell’incarico assegnatomi, nonostante gli uffici amministrativi del Gal “non abbiano ancora liquidato alcuna delle scadenze stabilite” e “nonostante il boicottaggio operativo da parte dei funzionari Manetta e Novoa”. Nel settembre 2000 vengo a conoscenza che la Regione Toscana (attraverso cui transitano i finanziamenti della Comunità Europea) ha proceduto alla liquidazione dei fondi fin dal mese di febbraio del 2000. Nonostante ciò, nessuna delle mie fatture è stata ancora pagata. Cio’ è la riprova della volontà volutamente dilatatoria e vessatoria operata nei miei confronti. Chiedo di nuovo di essere pagato, ma Manetta e Novoa mi richiedono, irremovibili, di versare loro, come acconto, 7.000.000 di Lire a testa.
La banda del Gal non si fida
Esasperato dalla loro arroganza, mi organizzo e, utilizzando un registratore, documento le loro richieste. Attivo anche il telefonino verso il numero di un amico, opportunamente preavvisato (si tratta di un giornalista direttore di un quotidiano emiliano). Più o meno negli stessi giorni faccio ascoltare una telefonata in diretta con Manetta alla direttrice di un’agenzia della Cassa di Risparmio di Carrara, presso la quale sono titolare di un conto corrente. Anche durante questa telefonata Manetta ripete la richiesta di denaro. (Questa documentazioni è stata consegnata all’autorità giudiziaria). La banda del Gal non si fida, vuole i soldi prima. Finalmente li convinco e intorno al 18 di settembre 2000 Manetta dispone un pagamento per un totale di 55.000.000, non prima però di avere concordato il versamento delle tangenti un minuto dopo il mio incasso. Incasso e chiaramente non pago la tangente. Inizia il finimondo. Manetta e Novoa minacciano di non farmi più lavorare, di mandarmi la finanza, di non farmi liquidare più una lira dal Gal, di bloccare il progetto dei menhir, ecc.
La denuncia all’autorità giudiziaria
Sono lontre impazzite ed arroganti. Nello stesso giorno affido ad un legale l’incarico di tutelarmi nei confronti dei funzionari del Gal. A gennaio del 2001 il cordinatore Petriccioli mi comunica, tramite documento scritto, che Manetta e Novoa sono in Spagna per coordinare i pagamenti dei partners stranieri del progetto e che le mie competenze saranno saldate entro dieci giorni. Ma questo non accade. A maggio 2001 Presidente e Coordinatore del Gal vengono a conoscenza della mia denuncia alla procura della Repubblica. Si dichiarano disponibili a favorire la liquidazione delle mie spettanze e far crescere il badget del progetto attraverso l’adesione di nuovi partners. In cambio, però, chiedono che presenti subito ai carabinieri una memoria, i cui contenuti siano concordati con loro. In pratica mi chiedono di ritirare la denuncia. Ormai le mie scelte le ho fatte e ciò non accade. A tutt’oggi il Gal deve ancora saldarmi un importo pari a circa 259 milioni di vecchie lire, la maggior parte dei quali spesi per i costi della realizzazione del progetto.
Epilogo
Questa è la mia storia. Documentata e comprovata. Ed ancora i casi sono due solo due: se la storia che ho raccontato non è vera, i personaggi coinvolti hanno il diritto (anzi il dovere) di querelarmi e di ottenere soddisfazione penale e civile. Se invece è vera credo che questo diritto ce lo abbia io. E faro di tutto per affermarlo. Anche se questo è il tempo delle lontre.
ANCHE NOI ABBIAMO IL NOSTRO GAL CHE SI CHIAMA “FAR MAREMMA” (Fabbrica Ambiente Rurale): PRESIDENTE GIANCARLO ZAGO
ABBIAMO ANCHE “ASSOGAL” CHE RIUNISCE I 7 GAL TOSCANI: PRESIDENTE ORESTE GIURLANI, GRANDE AMICO DI LUCIANO FEDELI
TEORIA GENDER
Il cardinale Bagnasco: “Edifica un transumano senza identità”
Per il porporato, infatti, “il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un ‘transumano’ in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità”
“Il gender edifica un ‘transumano’ in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità“.
Il cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione della sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della Cei, è tornato nuovamente a condannare la teoria del gender facendo sua la definizione che di essa ha dato recentemente il Papa: “Sbaglio della mente umana”.
Per il porporato, infatti, “il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un ‘transumano’ in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità”.
Il presidente della Cei ha puntato il dito contro la “Queer Theory” che, nata all’inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti, mette in discussione la naturalità dell’identità di genere e degli atti sessuali di ciascun individuo affermando, invece, che essi sono interamente o in parte costruiti socialmente e che quindi gli individui non possono essere descritti usando termini come eterosessuale o donna.
Per Bagnasco essa “combatte contro il normale, il legittimo, e ingloba tutte le soggettività fluide: non si riferisce a nulla in particolare, si presenta paradossalmente come ‘un’identità senza essenza’.
Sembra di parlare di cose astratte e lontane, mentre invece sono vicinissime e concrete: costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto.
Individui fluidi per una società fluida e debole.
Una manipolazione da laboratorio, – prosegue il porporato – dove inventori e manipolatori fanno parte di quella ‘governance mondiale’ che va oltre i governi eletti, e che spesso rimanda a Organizzazioni non governative che, come tali, non esprimono nessuna volontà popolare!”.
Di qui l’appello del presidente della Cei ai genitori a “reagire” perché nelle scuole italiane non si “ascoltino e imparino queste cose”.
Nella sua prolusione il cardinale ha fatto anche eco alle dure parole pronunciate da Papa Francesco a Napoli sulla corruzione alla quale, ha affermato Bagnasco, “diciamo che si deve reagire e che ciò è possibile”.
Il presidente dei vescovi italiani ha, infatti, condannato senza mezzi termini il “malcostume e il malaffare che sembrano diventati un ‘regime’ talmente ramificato da essere intoccabile”.
Per Bagnasco “esempi ne emergono ogni giorno: come corpi in stato di corruzione, ammorbano l’aria che si respira, avvelenano la speranza e indeboliscono le forze morali”.
Perciò, davanti a questo fenomeno, il porporato ha sottolineato che “tutti siamo interessati al bene comune, e tutti ne siamo responsabili con i nostri comportamenti.
Naturalmente ognuno a livelli e con modalità diverse: politica e magistratura, industria e finanza, impresa e sindacati, associazioni e media, volontariato, gruppi e singoli cittadini”.
Per Bagnasco, infatti, “se l’onestà è un valore sempre e comunque, che misura la dignità delle persone e delle istituzioni, oggi, le difficoltà di quanti si trovano a lottare per sopravvivere insieme alla propria famiglia sono un ulteriore motivo perché la disonestà non solo non sia danno comune, ma anche non sia offesa gravissima per i poveri e gli onesti. Ciò è insopportabile!”.
Il presidente della Cei ha rivolto anche “un doveroso e convinto atto di omaggio al nuovo capo dello Stato, il presidente Sergio Mattarella”, esprimendogli a nomi di tutti i presuli italiani “la nostra lealtà di cittadini”.
Guardando, infine, ai problemi italiani, Bagnasco non ha mancato di dare voce al “grido” della gente che “invoca lavoro”, così come di focalizzare “la continua tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore; fuggono dai loro Paesi per le ragioni che conosciamo: guerre, carestia, miseria, violenza”.
Ma per il presidente della Cei “non possiamo non rimanere dolorosamente attoniti di fronte alla persecuzione contro i cristiani che cresce e si incrudelisce”. Il porporato ha, inoltre, ribadito che “la religione non può mai essere impugnata per uccidere o fare violenza: invocare il nome di Dio per tagliare le gole è una bestemmia che grida al cospetto del cielo e della terra”.
clicka per leggere le schede di questi signori
tratto da www.corriere.it
Il fascicolo è già stato trasmesso «per conoscenza» alla Procura di Roma. Riguarda l’appalto per il prolungamento della Metro C, si concentra sull’affidamento della direzione dei lavori a Stefano Perotti, manager finito in carcere insieme al suo amico e socio in affari Ercole Incalza, alto funzionario delle Infrastrutture. I magistrati di Firenze ritengono di dover condividere questa parte dell’indagine sulla gestione delle Grandi opere, con i colleghi capitolini che hanno da tempo avviato verifiche sulla regolarità delle procedure e sulla lievitazione dei costi che al 2011 erano fissati in tre miliardi e 400 milioni di euro e secondo alcune stime potrebbero arrivare alla cifra record di 6 miliardi.
Il lotto conteso
Agli atti c’è la trascrizione di una telefonata del febbraio 2014 tra l’ex presidente di Italferr Giulio Burchi e il manager Giovanni Gaspari che gli inquirenti ritengono «significativa» proprio per dimostrare gli accordi illeciti per spartirsi nomine e appalti. Nel colloquio Burchi si lamenta infatti del numero di incarichi affidati a Perotti e tra l’altro afferma: «Gli ha fatto avere un lotto che non volevano dargli a tutti i costi quando c’era ancora Bortoli di Roma Metropolitane».
È il «sistema» che secondo i pubblici ministeri «ha consentito ad un gruppo di soggetti di istituire una sorta di filtro criminale all’ordinario accesso ai grandi appalti pubblici da parte delle imprese private». È quella che il giudice ha ritenuto una «organizzazione criminale di spessore eccezionale, che ha condizionato per almeno un ventennio la gestione dei flussi finanziari statali destinati alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali». E da oggi cominciano gli interrogatori di tutti.
La spartizione dei manager
La lettura delle carte processuali conferma come uno dei personaggi chiave di questo «sistema» messo in piedi, secondo l’accusa, da Incalza e Perotti, sia Francesco Cavallo. Nelle conversazioni lo indicano come «uomo di Lupi». Molto legato ai vertici della cooperativa «La Cascina» – coinvolta in numerose inchieste, compresa Mafia Capitale – «ha un rapporto contrattuale per l’erogazione di servizi professionali in favore della società “Ingegneria Spm” riferibile a Perotti Stefano» e ciò vuol dire che «intrattiene nel suo interesse una serie di rapporti con soggetti istituzionali». Cavallo alterna incontri con monsignor Francesco Gioia per far avere un lavoro al nipote del prelato e chiedere in cambio voti per Maurizio Lupi, ai contatti con numerosi titolari di azienda, fa da tramite tra questi ultimi e i politici. È amico dell’imprenditore friulano Claudio De Eccher e di quello pugliese Roberto De Santis, il compagno di vela di Massimo D’Alema, non indagato ma perquisito una settimana fa proprio perché il suo nome compariva agli atti dell’inchiesta per un affare che avrebbe dovuto concludere proprio grazie a Cavallo.
Le segnalazioni
Il giudice ritiene che il «sistema» si regga su quel patto tra «i professionisti nominati direttori dei lavori e gli stessi funzionari dello Stato, parte di un’unica compagine criminale che condivide strategie, azioni, proventi illeciti». Hanno gestito in quindici anni decine di appalti per un totale di 25 miliardi di euro, ma si sono occupati anche di orientare nomine che consentono di percepire compensi da centinaia di migliaia di euro.
E allora si comprende perché Burchi abbia interesse a tenere ottimi rapporti con amici politici del calibro del socialista Riccardo Nencini sottosegretario alle Infrastrutture, con il quale «bisogna discutere ci sono delle nomine da fare in giro, ci interessa sistemare due o tre persone», e con il parlamentare ed ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti, che gli chiede aiuto per far avere incarichi a manager di sua fiducia. Molto attivo appare anche Stefano Saglia che ottiene una consulenza da Perotti e dopo avergli procurato «un appuntamento in Eni». Commenta Cavallo: «Si è messo di buzzo buono a lavorare, Stefano gli ha già dato una consulenza, ma è così che si lega questa gente, cioè mica gli puoi dire “quando chiuderò, può darsi”».
Le carte truccate
Ci sono i capitolati «su misura» e quelli modificati in corsa, ma i carabinieri del Ros hanno trovato anche una perizia contraffatta, svolta nell’arbitrato tra Perotti e la Fiat sui lavori della Tav Firenze-Bologna che hanno portato nelle tasche del manager – nominato general contractor – ben 68 milioni di euro. Sull’assegnazione dei lavori ferroviari e autostradali il ruolo dei politici si fa dominante con Vito Bonsignore del centrodestra che entra nella Civitavecchia-Orte-Mestre e Antonio Bargone del centrosinistra interessato alla Tirrenica. Entrambi disponibili a trattare e per questo finiti tra gli indagati.
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