A distanza di un anno dalla celeberrima sentenza n. 3346/2014, il Consiglio di Stato con due sentenze quasi gemelle affibbia, alla pari di un mulo scalciante, una coppiola a quelle pubbliche amministrazioni, come verosimilmente lo è anche il Comune di Massa Marittima che in passato, ed ancora oggi, intendono appropriarsi dei beni immobili di proprietà privata (terreni) al di fuori di legittime procedure espropriative per realizzare opere pubbliche senza nemmeno pagare il giusto prezzo.

 

 

 

Con la sentenza n. 3988 depositata il 27/8/2015 (Comune di Empoli) il Consiglio di Stato ha stabilito:

 

“… La Sezione non esita a ritenere che il riconoscimento dell’usucapione per effetto dell’occupazione illegittima scaturita da una procedura espropriativa non conclusasi ritualmente (con la cessione bonaria ovvero con il decreto di esproprio) rappresenta ciò che è stato definito un esercizio di “equilibrismo interpretativo” dal quale debbono essere prese le distanze.   Ritiene la Sezione a tal riguardo di ribadire (v. Sent. IV n. 3346/2014) che è assai discutibile la usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione.   Lo impediscono plurime ragioni.   La prima delle quali fa capo all’orientamento secondo il quale “In tema di tutela possessoria, ricorre spoglio violento anche in ipotesi di privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure presunta, di questultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di acquiscienza, alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis Cass. civ., Sez. II, 7 dicembre 2012 n. 22174).   Così escludendosi che la detenzione possa essere mutata in possesso.   La seconda pone in relazione l’asserita usucapibilità con la sua incompatibilità al cospetto dell’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la cui costante giurisprudenza (Sez. II, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02), ha più volte affermato, la non conformità alla Convenzione (in particolare, al citato Protocollo addizionale n. 1) che ha valore di “norma costituzionale interposta”, dell’istituto della cosiddetta “espropriazione indiretta o larvata” e quindi di alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal decreto di espropriazione, ovvero dal contratto tra le parti.   Non consente quindi la CEDU che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione possa considerarsi legittima al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001).   Né può essere omesso di aggiungere, infine, che l’interruzione dell’usucapione può avvenire oltre che con la perdita materiale del possesso soltanto con la proposizione di apposita domanda giudiziale, cosicché quantomeno sino all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, qualificandosi antecedentemente l’occupazione acquisitiva come “fattispecie ablatoria”, era preclusa da parte del destinatario dell’occupazione preordinata all’esproprio, l’azione di restitutio in integrum, onde, trovando necessariamente applicazione l’art. 2935 Cod. civ., il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi, come sostenuto anche da parte appellata, a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 …”.

 

 

Ancor più pesante è la sentenza n. 4096 depositata il 1/9/2015, con la quale il Consiglio di Stato ha stabilito:

 

“… 5. In punto di merito, infatti, si rammenta che ancora di recente – con sentenza n. 735 del 19 gennaio 2015- le Sezioni Unite civili di Cassazione hanno chiarito che:
a) è illegittimo l’illecito spossessamento del privato da parte della pubblica amministrazione e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità;
b) il privato, in questo contesto, ha diritto a chiedere la restituzione del terreno salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno;
c) lo stesso ha, altresì, diritto al risarcimento dei danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno e ciò sino al momento della restituzione ovvero sino al momento in cui richieda il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno.
Ciò sulla scorta del ribadito presupposto del contrasto dell’istituto dell’occupazione acquisitiva rispetto al protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
5.1. La vicenda processuale si inquadra perfettamente nel suindicato paradigma, e neppure l’Amministrazione ciò contesta, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo, in parte qua la ricostruzione di parte appellante deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio (e peraltro, sol che si consideri che il decreto gravato faceva riferimento ad una –inesistente, per quanto si è sin qui detto- maturata accessione invertita, è evidente che giammai sia intervenuto valido atto conclusivo della procedura espropriativa, e men che mai tempestivo).
5.2. Di converso, l’Amministrazione prospetta l’eccezione di maturata usucapione.
5.2.1. Essa, ad avviso del Collegio, è radicalmente infondata.
5.3. Dalla formulazione della stessa si ricava che l’amministrazione appellata ha indubbiamente introdotto in giudizio il fatto della intervenuta usucapione nella forma della c.d. eccezione di tipo riconvenzionale, al solo fine di paralizzare la domanda risarcitoria ex adverso proposta, nel dichiarato presupposto della estraneità della domanda riconvenzionale alla giurisdizione pur esclusiva del g.a., senza chiedere alcun accertamento pieno dell’acquisto a titolo originario dell’area in questione ai sensi dell’art. 1158 c.c.: ne consegue la giurisdizione del GA. ai sensi dell’art. 8 cod. proc. amm. sull’“eccezione riconvenzionale” di usucapione formulata in appello.
5.4. La questione della qualificazione della domanda ai fini della individuazione del plesso giurisdizionale competente a pronunciarsi sulla stessa è stata funditus esplorata nella recente decisione della Sezione n. 03346/2014, resa nell’ambito del ricorso 02584/2014 (capi 2.3. e 2.4).
Per evitare superflue ripetizioni ad essi integralmente ci si richiama, e gli stessi devono intendersi integralmente richiamati e trascritti in questa sede.
5.4.1. Nella medesima decisione della Sezione n. 03346/2014 si è altresì chiarito la ragione per cui non si ritiene applicabile l’istituto dell’usucapione alla procedura espropriativa nata o divenuta illegittima.
E soprattutto si è chiarito che, a tutto concedere, (alla stregua dell’art 2935 c.c. – secondo cui la prescrizione decorre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, (l’art. 43 ivi contenuto, come è noto, aveva sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva) il che implica che il termine ventennale non sarebbe neppure ad oggi maturato.
Anche i capi 2.5. e 2.5.1. della richiamata decisione – integralmente condivisi dal Collegio- devono intendersi trascritti nel presente elaborato: la eccezione va pertanto disattesa, sia perché non condivisibile nel merito che in quanto infondata in punto di maturato decorso del tempo.
5.4.2. Una ultima considerazione deve essere permessa, sul punto: l’Amministrazione, nel prospettare l’eccezione di maturata usucapione sostiene in sintesi che negando tale facoltà in capo alla medesima, essa riceverebbe un trattamento “discriminatorio” rispetto al privato (che può invece giovarsi dell’istituto dell’usucapione per divenire proprietario di beni, anche immobili).
Nessuna delle considerazioni della difesa erariale tese a criticare il convincimento della Sezione (in passato espresso proprio nella sentenza 03346/2014) appare persuasiva.
Invero il Collegio non può negare che l’Amministrazione (art. 42 della Costituzione) può validamente usufruire di tutti i modi di acquisto della proprietà, e può divenire proprietaria di un bene al pari del privato; essa infatti può “essere” proprietaria, al pari dei privati (la tripartizione dei beni in mano pubblica è approdo di risalente tradizione che non si revoca certo in dubbio, pertanto l’amministrazione può essere titolare di beni a titolo di dominio privatistico).
Ciò che l’Amministrazione oblia, però, è che essa, per espropriare un bene in mano a privati, esercita una potestà di imperio pubblicistica; “affievolisce” (per usare un termine ormai quasi desueto) la posizione soggettiva attiva del privato; si giova di poteri –che devono essere esercitati legittimamente- ad essa sola consentiti.
Opera iure imperii, quindi, e non iure privatorum.
Sarebbe incongruo, in carenza di alcun espresso referente normativo, che dall’esercizio illegittimo di poteri di imperio essa possa ricavare un utile riposante nel divenire proprietaria del bene senza erogare al privato spogliato alcunché.
Non v’è alcuna “par condicio” da garantire, perché la posizione dell’Amministrazione (che si avvale di poteri di imperio) e quella del privato proprietario sono quanto di più disomogeneo si possa immaginare giovandosi l’Amministrazione di prerogative di cui certamente non può giovarsi il privato.
Semmai, oltre alle considerazioni tecniche prima formulate, sotto il profilo della complessiva coerenza sistematica non si vede come ritenere compatibile con l’art. 97 della Costituzione la fattispecie in cui un soggetto pubblico “iure imperii” sottragga il bene ad un privato; ciò faccia in forza di atti illegittimi; e per soprammercato divenga poi proprietaria iure privatorum e non indennizzi il privato del pregiudizio subito.”.

 

 

Pertanto, permettendomi di parlare a nome dell’Associazione Massa Comune, si consiglia vivamente i Cittadini massetani ai quali il Comune ha illecitamente occupato terreni senza legittime procedure espropriative di attivarsi per la restituzione dei loro beni oppure per ottenere un serio ristoro economico.

 

Per qualsiasi necessità di informazioni l’Associazione Massa Comune è a Vs. disposizione.

 

FATEVI FURBI: NON CONTINUATE A FARVI INFINOCCHIARE DA CHI NON FA I VOSTRI INTERESSI.

 

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