Il golpe rosso che ha bloccato il voto nelle Province lascia come prospettiva il commissariamento in attesa della modifica del Titolo V della Costituzione e della cancellazione degli enti intermedi.

 

Di fatto, ha cancellando la volontà degli elettori che, con regolari elezioni, avevano scelto un’amministrazione di centrodestra.

 

Ora si ritroveranno con dei commissari che, nominati dal centrosinistra, di certo non rispetteranno la loro volontà politica.

 

Insomma, un ribaltone, da Milano a Crotone, da Venezia a Napoli; un capovolgimento di fronte silenzioso, senza ricorso alle urne, utile non si sa sino a che punto alle casse dello Stato ma certo dannoso per la democrazia.

 

Un ribaltone nato, in sordina, con il governo Monti prima e con l’esecutivo guidato da Enrico Letta poi perché è dal decreto “Salva Italia” del 2012 che è cominciata  la rivoluzione rossa con lo stop al voto negli enti in scadenza e con il commissariamento di 21 Province: 11 (di cui cinque inizialmente in mano al centrodestra) nel 2012 (Ancona, Asti, Belluno, Biella, Brindisi, Como, Genova, La Spezia, Roma, Vibo Valentia e Vicenza) e 10 (sei delle quali in partenza di centrodestra) nel 2013 (Avellino, Benevento, Catanzaro, Foggia, Frosinone, Lodi, Massa Carrara, Rieti, Taranto e Varese).

 

Ventuno Province commissariate alle quali, adesso, si aggiungeranno le 52 in scadenza quest’anno, 25 delle quali (Ascoli Piceno, Bari, Barletta Trani-Andria, Bergamo, Brescia, Chieti, Cremona, Crotone, Cuneo, Isernia, Latina, Lecce, Lecco, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Padova, Piacenza, Salerno, Savona, Sondrio, Teramo, Venezia, Verbano-Cusio-Ossola, Verona), in mano al centrodestra.

 

L’antipasto di quello che accadrà presto in tutta Italia si è già avuto in Sicilia, dove si partiva da un en plein – nove Province a guida centrodestra su nove – dovuto al voto del 2008: da più di un anno gli enti, la cui abolizione è stata varata dal Parlamento siciliano a marzo del 2013, sono stati smantellati, al posto dei presidenti scelti dai siciliani ci sono i commissari selezionati dal governatore PD Rosario Crocetta

 

I suoi fedelissimi – tanto per dire, a Trapani, il commissario straordinario è l’ex pm e leader di Azione civile Antonio Ingroia – vanno avanti a proroghe.

 

E non è che la futura creazione delle città metropolitane migliorerà il quadro.

 

Per una Torino che, di fatto, non cambierà colore – sono del Pd tanto il sindaco, Piero Fassino, che subentrerà come poteri al presidente della Provincia e presidente dell’Upi Antonio Saitta – c’è una Milano che, invece, sarà stravolta: via il presidente della Provincia PDL, Guido Podestà, e poteri al sindaco arancione di Milano, Giuliano Pisapia.

 

Insomma, al di là del trionfalismo del premier Matteo Renzi («Abbiamo detto basta a tremila politici nelle province, dobbiamo andare avanti come un rullo compressore») i problemi ci sono, eccome.

 

Dal senatore di Forza Italia, Lucio Malan, arriva un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, perché non firmi la riforma appena varata.

 

Nel mirino in particolare l’istituzione dei sindaci metropolitani e l’ampliamento abnorme dei poteri di chi, eletto per governare una città, si ritrova di fatto a fare anche il presidente della Provincia.

 

Critico con la riforma Delrio anche il presidente della Regione Campania, l’azzurro Stefano Caldoro: «Lo scioglimento delle Province non era una priorità del Paese: le poltrone non sono diminuite bensì aumenteranno e bisognava partire dal vero problema che è il rapporto tra Regioni e Stato».

 

 

 

Un Commento a “Le infinite riflessioni sull’abolizione delle Province”

  • Roberto Ovi says:

    “In attesa della modifica del Titolo V della Costituzione”.
    Questa la principale premessa alla c.d. “Legge Del Rio”, di riordino delle Province in enti locali di secondo livello e revisione delle relative funzioni, con conseguente trasferimento del personale nelle numerose pluralità di enti pubblici (Regioni, Comuni, Unioni di Comuni)

    http://www.leggioggi.it/2014/04/03/il-ddl-delrio-e-legge-come-cambiano-le-province-il-testo-della-riforma/

    Considerando che il risultato referendario dello scorso dicembre ha preservato l’esistenza delle Province, l’attesa rischia di essere molto ritardata, se non addirittura vana. Pare infatti che le Province stiano preparando una serie di ricorsi giurisdizionali, con possibile richiesta di intervento in via incidentale alla Corte Costituzionale, per ripristinare lo status quo.
    Non solo. Anche gli stessi politici, o presunti tali, che tanto si erano apparentemente spesi per la loro cancellazione, pare stiano valutando, senza alcun senso del pudore, il passo indietro

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/16/province-leterno-ritorno-dopo-dieci-anni-di-dibattiti-e-promesse-sullabolizione-ora-si-ripropone-il-voto-popolare/3314781/

    Queste cose succedono solo in Italia. Le riforme si attuano quando le condizioni politico istituzionali sono già efficaci, e non un mero desiderio auspicabile in futuro.
    La stessa figura del cavolo la facemmo agli inizi degli anni cinquanta, quando il Governo De Gasperi, pressato da Altiero Spinelli, sopravvalutato quanto inconcludente esponente europeista, volle anticipare la realizzazione della Comunità Politica Europea, prevista dal trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED), che non era stata ancora recepita da tutti gli allora 6 Stati membri della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), antesignana della CEE, istituita a Roma solo qualche anno dopo.
    Quando la Francia bocciò il trattato CED, l’Italia fu costretta ad un umiliante passo indietro.
    Le cose vanno fatte quando si è in grado di farle e si è nelle condizioni di poterle fare, senno si producono più danni della grandine

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