Fonte: IL SOLE 24ORE
20 febbraio 2014
Il potere pervasivo blocca la Pa
di Valerio Castronovo
Sono trascorsi oltre cinquant’anni da minata dal superamento del centrismo. quando il primo governo di centro-sinistra (presieduto da Amintore Fanfani)tentò di riformare la Pubblica amministrazione: ciò che avrebbe dovuto rendere più significativa la svolta politica. Da allora non c’è stato esecutivo, di qualsiasi colore, che non si sia posto lo stesso obiettivo: salvo a dover alzare ogni volta bandiera bianca.
Perciò l’eliminazione delle tante vischiosità e incongruenze della macchina statale continua tuttora a figurare come la “madre” di tutte le riforme. E dire che la causa principale della scarsa efficienza e delle estenuanti lentezze della Pa nell’espletamento dei propri compiti era già stata individuata mezzo secolo fa: ossia, il potere pervasivo e autoreferenziale (una sorta di “manomorta”) esercitato dall’altaburocraziaministeriale lungo le corsie di gestione ed esecuzione dei provvedimenti varati dal governo e dal Parlamento.
Dalla Prima alla Seconda Repubblica, quest’anomalia ha finito per assumere aspetti e risvolti sempre più inibenti e dilatori, a scapito del funzionamento e dell’immagine delle istituzioni pubbliche. D’altronde, la continua proliferazione di norme primarie e suppletive, che ha generato una selva legislativa ipertrofica e talvolta contraddittoria, da un lato hareso ancorpiù complessa e onerosa la congerie di vincoli e adempimenti; e, dall’altro, ha moltiplicato le prerogative dei “gros bonnets” al vertice dei vari dicasteri che sovrintendono anche a una vasta filiera di enti pubblici paralleli.
I massimi dirigenti e i funzionari di rango elevato a capo di questo conglomerato di attività sussidiarie e complementari ai processi legislativi, sono giunti così a detenere di fatto, in quanto titolari in via permanente di un determinato ufficio o dipartimento, consistenti poteri discrezionali: da quelli di esegesi e monitoraggio delle diverse normative quanto alle modalità della loro applicazione, a quelli di accelerazione o d’interdizione quanto ai tempi della loro attuazione.
Più volte si è denunciato il persistente iato, dovuto a questa spessa intercapedine corporativa, fra l’adozione di risoluzioni legislative ancorché importanti e la loro messa a punto e concretarealizzazione da parte della dirigenza ministeriale sulle cui scrivanie esse approdano e si depositano. Ma senza che si sia mai arrivati a ridimensionare effettivamente la potestà implicita o esplicita acquisita dalle alte sfere dellaPa, in grado di opporre, motivandolo ogni volta alla stregua di un atto dovuto, un muro di gomma costituito da rituali formalistici, cavilli procedurali o quesiti superflui. E ciò, malgrado i reiterati impegni di tanti governi per disboscare questa intricata foresta di lacci e lacciuoli.
Negli ultimi anni l’ingorgo avvenuto nell’iter attuativo di numerose leggi sfornate dalle Camere è giunto ad assumere dimensioni talmente abnormi da imbrigliare anche provvedimenti di assoluta emergenza. Se si considera che sino a qualche giorno fa, in mancanza dei relativi regolamenti, erano ancora in lista di attesa, per essere rese operative, oltre metà delle misure adottate dai governi Monti e Letta, nonostante avessero per lo più carattere d’urgenza e finalità di notevole rilievo economico e sociale.
E perciò del tutto evidente che, di questo passo, anche alcune preminenti riforme strutturali, intese a ridare vigore e competitività a un Paese sfibrato dalla crisi, non produrranno in pieno o per tempo i loro effetti, se non si porrà mano a una bonifica da cima a fondo delle remore e delle pastoie che intasano e inceppano l’itinerario burocratico-amministrativo delle iniziative e decisioni assunte in sede legislativa.
Il premier incaricato Matteo Renzi ha annunciato che intende aggredire questo nodo istituendo una cabina di regia a Palazzo Chigi con l’incarico di sfrondare certe plurime mansioni e propaggini dell’alta dirigenza ministeriale, riducendo la fascia di quanti occupano posizioni di maggior peso, abolendo particolariprebende e consulenze esterne, accorpando determinate funzioni a diversi livelli che risultino altrimenti farraginose o fonte di sovrapposizioni e conflitti di competenza. Si tratta, naturalmente, di un proposito encomiabile. Ciavevagiàprovato, al tempo delgoverno Monti, il ministro per i Rapporti col Parlamento Pietro Ciarda. Adesso, in virtù anche del nuovo ciclo della “spendingreview” (che, stando alle aspettative, dovrebbe ridurre posti dirigenziali nonché capitoli e meccanismi automatici di spesa dei vari ministeri), c’è da augurarsi che i progetti del nuovo esecutivo vadano infine a segno.
Ma ci vorrà pure, per snellire e rendere efficiente la macchina burocratica, sia un sistema adeguato e trasparente divalutazione dell’operato dei dirigenti pubblici, in base agli obiettivi concretamente raggiunti; sia un loro diverso assetto normativo più mobile e flessibile, che ne valorizzi le esperienze e le attitudini professionali dove necessitano. Occorre inoltre, per completare la riforma della Pubblica amministrazione, stabilire un codice di responsabilizzazione dei quadri intermedi.