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La salute degli italiani in balia

della deriva finanziaria del Paese

 

 

 

Fonte   L’Huffington Post

 

di Nino Cartabellotta

 

 

 

Il 20 settembre il Premier Letta e il Ministro dell’Economia e delle Finanze Saccomanni hanno reso pubblica la nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2013 che lascia intravedere, senza dichiararlo apertamente, un “altro” servizio sanitario nazionale (SSN), con meno tutele pubbliche e più risposte private.

Il governo infatti, obbligato a gestire una coperta molto corta tra aumento dell’IVA, maquillage dell’Imu e rapporto deficit/Pil, ha deciso che può tirarla solo dal lato della Sanità, dove ragionevolmente l’intermediazione assicurativa e finanziaria dei privati porterà una consistente boccata d’ossigeno.

Dopo i 25-30 mld di euro già sottratti al SSN per il periodo 2012-2015, con il DEF 2013 il Ministero dell’Economia e Finanze cala inesorabilmente la scure programmando un definanziamento che riduce la quota di Pil destinata alla sanità pubblica dal 7.1% al 6.7%. La riduzione inizierà nel 2015 (ultimo anno interessato dai tagli già deliberati) con un timido 7.0%, per poi perdere un altro 0.3% nel biennio 2016-2017, giusto il tempo necessario per “far partire anche la terza gamba della Sanità, quella delle assicurazioni integrative”, come ha dichiarato il Ministro della Salute Lorenzin.

Nelle sole 2 pagine (su 103) del DEF destinate a “Rispondere alle grandi sfide della sanità e dell’assistenza”, alla tangibilità del dato finanziario non fa eco una chiara programmazione sanitaria, anzi tra le righe emerge la volontà di subordinare alle esigenze finanziarie del Paese i diritti dei cittadini sanciti dall’articolo 32 della Costituzione e dai principi fondanti del SSN.

Infatti, accanto a strumenti che da oltre un decennio la politica sanitaria sbandiera senza mai attuare (appropriatezza, governance, lotta agli sprechi, informatizzazione, HTA), alla soluzione di problemi contingenti (responsabilità professionale, precariato) e alla ovvia conferma di strumenti di programmazione già esistenti (il Patto per la Salute), nel DEF si leggono espressioni decisamente preoccupanti, quali “sistema sanitario selettivo” – in netto contrasto con il principio costituzionale di universalità – “prestazioni non incondizionate”, “ridisegnare il perimetro dei LEA”, il tutto sotto una “regia nazionale” di fatto non affidata al Ministero della Salute, ma a quello dell’Economia e delle Finanze.

 Inoltre, accanto a un disordinato elenco di azioni da tempo annunciate (e mai attuate) dal DEF emergono clamorose contraddizioni.

 

 

• Si fa riferimento a misure di prevenzione secondo il principio health in all policies, che prevede di orientare tutte le decisioni di politica (non solo sanitaria, ma anche industriale, ambientale, sociale), mettendo sempre al centro la salute dei cittadini. Ma qualcuno ha spiegato a Saccomanni che una loro legittima attuazione – con il gran numero di attività produttive che oggi in Italia danneggiano la salute dei cittadini – darebbe al PIL una consistente spallata al ribasso?

• Si parla di attuare “la prevenzione di tutti i comportamenti a rischio”. Proposta ineccepibile, ma quante risorse è disponibile a sacrificare lo Stato (da tabacchi, alcool, giochi pubblici) per metterla in atto in maniera incondizionata? E quante ne è disposto a sottrarre all’assistenza ospedaliera e a quella territoriale per destinarle alla prevenzione, la “sorella povera” dei livelli essenziali di assistenza che riceve oggi solo il 7% delle risorse?

• Si continua a far leva sulla riduzione dei costi dell’assistenza ospedaliera e sul potenziamento di quella territoriale. Un principio sacrosanto di programmazione sanitaria: ma come sarà possibile sincronizzare – senza investimenti – la riorganizzazione degli ospedali e lo sviluppo dei sistemi territoriali socio-sanitari in un sistema dove la resistenza della cultura ospedale-centrica convive con la carenza di modelli consolidati di cure primarie?

• Si auspica lo sviluppo delle farmacie dei servizi con l’offerta di nuovi servizi di valenza socio-sanitaria, che dovrebbero limitare l’accesso alle strutture ospedaliere. Tuttavia si ignora che tutte le prestazioni sanitarie previste finiranno per aumentare la domanda inappropriata dei cittadini, aumentando il consumismo sanitario. E se fosse un una sorta di indennizzo per i continui tagli e sui farmaci rimborsati dal SSN, che la lobby del settore vorrebbe compensare con la concessione di nuovi servizi finalizzati ad attirare “clienti” per le farmacie?

Se oggi le Istituzioni intendono liberarsi di una consistente parte della spesa pubblica attualmente destinata alla Sanità non possono e non devono nascondere i loro piani tra le righe di un documento finanziario. Un cambiamento epocale di tale portata merita una riforma del SSN condivisa da tutti gli stakeholders della Sanità italiana, che può essere affrontata solo in Parlamento.

Il 23 dicembre i cittadini italiani vogliono festeggiare il 35° compleanno del SSN con la certezza che la fiscalità generale finanzia un SSN realmente pubblico, equo e universalistico. Purtroppo, il DEF 2013 suggerische che, invece di cantare allegramente Happy Birthday, dovremo intonare un requiem alla Sanità pubblica.

 

 

 

 

 

 

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