Da Il Tirreno del 29/8/2013
IL DOVERE DELLA VERITÀ
di ADRIANO FABRIS
E’ una triste vicenda quella che raccontano i familiari di Sergio Fiorini, l’anziano morto a Grosseto per una trasfusione sbagliata.
Non solo perché costituisce la denuncia di un errore che, in ospedale, non deve mai verificarsi, ma anche perché mette in luce – naturalmente a condizione che il racconto dei familiari della vittima trovi piena conferma – un caso di cattiva comunicazione, se non di omissione della verità, che rende questo errore ancora più insopportabile.
Da alcuni anni ormai si è imposta anche nella cura medica la consapevolezza del ruolo centrale che può giocare una corretta comunicazione.
Quest’ultima non si risolve certamente nell’obbligo, da parte del paziente, di sottoscrivere il modulo standard del consenso informato: una pratica che si è trasformata, spesso, più in tutela del medico che in garanzia per il paziente.
Corretta comunicazione è invece quella che rende possibile una vera e propria alleanza terapeutica tra il cittadino malato e chi opera nell’ambito sanitario.
Tale alleanza può verificarsi in tutte le fasi dei processi di cura: dal primo incontro con la struttura ospedaliera per prenotare una visita o richiedere una prestazione, alla relazione vera e propria fra medico e paziente.
Ciò ha portato in anni recenti, anche grazie a quanto una comunicazione competente ha reso possibile, al sostanziale cambiamento dell’esperienza della malattia.
Potremmo dire che il malato è uscito dal suo stato di minorità, e che perciò non è più destinato a subire passivamente tutto ciò chele procedure mediche o uri organizzazione sanitaria prevedono per lui.
Chi soffre, anzi, merita ancor più rispetto e sostegno di chi sta bene. E lo stesso vale per chi lo accompagna e condivide la sua condizione. Il medico, dal canto suo, non è più concepito come signore e padrone delle sorti del malato. E finita l’epoca del paternalismo.
Anzi. Proprio al fine di raggiungere quello che per entrambi è l’obiettivo comune, cioè la guarigione del malato stesso, sia chi soffre, sia chi ha il compito di curarlo devono intendersi nel modo più adeguato: mettendo in comune il sapere generale del medico con quei sintomi particolari di cui solo il paziente è consapevole.
Insomma: la mentalità riguardo ai processi e alle relazioni di cura è ormai cambiata.
E la buona comunicazione è veicolo di questo cambiamento. Ma forse non tutti se ne sono accorti.
Stando al racconto dei parenti di Sergio Fiorini pare che all’ospedale di Grosseto molti passi in questa direzione debbano ancora essere fatti. Non solo in relazione al terribile errore che è costato la vita al loro caro, ma perché tutta la vicenda sembra mostrare un’incapacità di affrontare la situazione proprio sul piano comunicativo: in una maniera trasparente e rispettosa del legittimo desiderio di sapere da parte della famiglia.
Senza rispetto e trasparenza, però, non vi potrà essere neppure quella fiducia che è necessaria nel rapporto tra il paziente, con i suoi cari, e la struttura sanitaria. E un diritto fondamentale, il diritto alla salute, finirà per esser disatteso.