IL TIRRENO

Rassegna stampa quotidiana della Provincia di Grosseto

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2013-08-13

 

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Sei diverso, vattene con le ragazze Offese, episodi sommersi di bullismo e le istituzioni assenti Marco, 17 anni, racconta l’adolescenza di un gay in Toscana

 

di Ilaria Bonuccelli Qualche risolino. Le battute. E alle medie, alla gita scolastica in Austria, i compagni non lo hanno voluto in camera. Quello che sono arrivati a chiamarlo “finocchio” lo hanno mandato a dormire dalle ragazze. Marco non se l’è presa. In fondo – dice il liceale viareggino – «non sono mai stato vittima di episodi di bullismo fisico. Gli insulti sì, quelli qualche volta c’erano. Ma io ho fatto coming out presto. Ho detto pubblicamente a 12 anni di essere gay e a quell’età non sempre i ragazzi sono formati per gestire una situazione del genere». Ma il fatto che in Toscana non emergano «episodi eclatanti di bullismo omofobico o transfobico non significa che non esistano. È solo la conferma che i ragazzi hanno paura di parlare. Stanno zitti e subiscono. Fino a quando non succede l’irreparabile». L’irreparabile è la morte, dice Marco Buzzetti, presidente toscano di Agedo, l’associazione dei genitori di omosessuali. Il suicidio di un ragazzo di 14 anni che si getta dal tetto di un condominio in una notte romana perché non vede alternative alla propria condizione di gay. Una condizione isolata, silenziosa, come quella dello stagionale assunto alla mensa di Grosseto che si presenta al pronto soccorso con un taglio alla mano: si giustifica con l’inesperienza. Non è pratico di taglio di patate e cipolle. Due settimane dopo, il bernoccolo e i lividi alla faccia e alle braccia, invece, sono causati dallo sportello di una credenza e dalle pentole cadute dall’alto. Invece – scopre il Codice rosa, il percorso protetto per vittime di violenza – il colpevole è un collega omofobo. «Questo è comprensibile perché quando per tre anni alle medie e per cinque alle superiori i ragazzi convivono con scritte come “frocio di merda” o “lesbiche al rogo” – riprende Buzzetti – spesso le scuole non adottano alcun tipo di provvedimento. Da anni come Agedo portiamo avanti un progetto per rendere stabile la formazione nelle scuole, non solo per gli studenti ma anche per insegnanti e genitori, in modo da insegnare il valore della diversità, ma ci scontriamo con la rigidità dei dirigenti. A volte per mancanza di fondi, a volte perché il tema è delicato». Parla un padre, ma è come se le parole uscissero da un figlio. Marco, che oggi a 17 anni, sperimenta le difficoltà che Agedo descrive: «Io sono stato un ragazzo fortunato perché la mia famiglia ha affrontato con serenità il mio coming out. Quando ne ho parlato a scuola, alle medie, ho trovato disponibilità da parte dei miei professori con cui ho potuto parlare liberamente della mia condizione. Mi hanno accompagnato nel percorso, ma sempre in maniera non ufficiale. La scuola, invece, come istituzione era assente». In pratica – ammette Marco – se «avessi avuto bisogno di uno psicologo o di un consigliere sarei stato fregato perché non avrei avuto nulla a disposizione. Sono, però, entrato in Arcigay giovani di Pisa – ero il più piccolo – e lì ho trovato il mio gruppo di discussione dove confrontarmi sulle problematiche legate all’identità sessuale. Ho iniziato un percorso di formazione che mi ha consentito di relazionarmi meglio con famiglia e amici». Che, soprattutto alle medie, confondono «gay con transgender. Solo perché avevo detto che ero omosessuale, pensavano che mi dovevo sentire per forza come una ragazza. Poi al liceo, incontri persone più grandi, è più facile comprendere le diversità e allora le cose si semplificano. Hai anche la possibilità di proporre attività con i volontari: i ragazzi sono ricettivi. I dirigenti scolastici meno. Forse è un problema di distanza generazionale: sono restii a comprendere rispetto ai professori». Questo rende più complicato abbattere le barriere. Far uscire dall’isolamento la comunità “gltbiq” (gay, lesbica, trans, bisessuale, intrasessuale, queer). Sottrarre i ragazzi agli atti di bullismo e di discriminazione. «Succede molto spesso – sottolinea Marco – che invece di urlarti a dosso, di offenderti chi ti vuole fare del male cerca di renderti invisibile, insignificante. L’omosessuale discriminato, come una persona di serie B, al pari di quello che succede alle donne: una violenza di genere. È una violenza invisibile, più raffinata, ma non meno dolorosa. E sono meccanismi pericolosi perché trasversali: si creano anche all’interno della nostra stessa comunità». Magari senza volerlo «ma succede che i ragazzi gay – ammette Marco – discriminano le lesbiche o emarginano i bisessuali perché “sono indecisi”. Ci sono persone, all’interno della comunità omosessuale, che si ritrovano emarginate e discriminate, perché donne e omosessuali. E magari anche perché migranti: contro queste forme multiple come Arcigay Pisa abbiamo iniziato dei corsi di formazione a Pisa perché questa è una china pericolosa». Perché silenziosa. E perché ancora le denunce sono poche. Per vergogna, soprattutto. Come succedeva per le donne maltrattate – conferma Buzzetti – prima che a Grosseto inventassero il Codice rosa e il suo percorso protetto. Sull’omosessualità il percorso è solo all’inizio. «Ma i segnali nazionali – conclude Arcigay – non sono buoni se nel disegno di legge contro l’omofobia il reato contro i gay non prevede neppure l’aggravante d’odio».

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