tratto da Il Sole 24 ore
di Riccardo Ferrazza

 

 

Un’ora di confronto: Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi si sono visti a sorpresa alla Camera dopo che per tutta la mattinata erano circolate voci di un incontro in giornata. «Noi siamo a disposizione ma no a governissimi» ribadisce il segretario del Pd, in un tweet al termine del faccia a faccia. «Se non mi si chiede di andare ad Arcore a Palazzo Grazioli, non ho mai avuto problemi a incontrare Berlusconi» aveva detto Bersani in mattinata sull’ipotesi di un incontro con il Cavaliere, a oltre 40 giorni dalle elezioni che non hanno dato un vincitore certo. Al centro del colloquio l’accordo sul nome del prossimo presidente della Repubblica che potrebbe sbloccare lo stallo istituzionale. Bersani e Berlusconi sarebbero stati d’acordo sul dire no all’ipotesi di presidenti “a-politici”.

 

«È stato un buon incontro però siamo all’inizio», è il commento di Enrico Letta presente all’incontro insieme ad Angelino Alfano. Il vertice, spiega Alfano in una nota diffusa al termine del vertice tra il leader del Pd e quello del Pdl – è stato l’occasione per confermare quel che abbiamo sempre detto: il presidente della Repubblica deve rappresentare l’unità nazionale e dunque non può essere, e neanche può apparire, ostile a una parte significativa del popolo italiano. Il presidente Silvio Berlusconi ha ribadito la propria disponibilità a fare ciò che é utile all’Italia a difesa del consenso ricevuto e della fiducia che milioni di italiani anche questa volta gli hanno accordato. Durante l’incontro – si legge ancora nella nota – non sono stati fatti nomi di possibili candidati. Nei prossimi giorni potranno esserci ulteriori appuntamenti». Intanto Matteo Renzi ne approfitta per una nuova incursione: «Speriamo si decida qualcosa» ha detto il sindaco di Firenze. Che attacca: «Non ho vinto le primarie, ha vinto Bersani. Il problemino è che poi Bersani non ha vinto le elezioni».

 

 

 

 

 

Letta: un metodo condiviso per scegliere nomi che uniscano il Paese 

L’incontro è stato tenuto “coperto” fino all’ultimo con i rispettivi staff impegnati a depistare i cronisti. «Si vedranno al Senato», «il faccia a faccia sarà a Palazzo Giustiniani», «appuntamento per le 18», «probabile vertice alle 20,30». Poi alle 17 Silvio Berlsuconi è stato visto entrare a Montecitorio e la “caccia” è partita. Riserbo sulla sala dell’incontro e giornalisti tenuti alla larga. Alla fine il Cavaliere se ne è andato senza parlare. Il primo commento è quello del vicesegretario democratico Letta: «È stato un buon incontro però siamo all’inizio».

 

Poi ha spiegato: «Un incontro utile per chiarirci sui criteri per individuare insieme una rosa di personalità che possa rappresentare l’unità del paese. In un momento di grandi divisioni, il Pd sente la forte responsabilità che sul presidente della Repubblica ci sia un segnale forte di unità nazionale». Il giro di incontri andrà avanti: giovedì Bersani vedrà il leader della Lega Roberto Maroni, poi sarà la volta del MoVimento 5 Stelle. L’obiettivo è «tentarle tutte per arrivare a un presidente eletto con un largo consenso».

 

Bersani e il no al governissimo 

Alla vigilia del faccia a faccia le posizioni non sembravano divergere molto da quelle che hanno portato all’attuale stallo. Da una parte il leader del Pd ribadisce il suo inamovibile no all’ipotesi di un governissimo con un Popolo della libertà guidato ancora dal Cavaliere. Una posizione che non sembra vacillare neanche dopo le prese di posizioni di Matteo Renzi e Dario Franceschini per un dialogo con l’avversario di sempre: voci che danno l’idea di un partito in subbuglio in cui avanzano i dubbi sulla linea tenuta finora dal leader democratico. In molti avanzano la richiesta di un governo del Presidente che possa sbloccare la situazione. Tuttavia anche l’esortazione del Capo dello Stato Giorgio Napolitano ad avere «coraggio», come quello dimostrato dal Pci di Enrico Berlinguer nel sostenere nel 1976 con la non sfiducia il governo Andreotti, non viene letta dal segretario e dal suo entourage come una spinta nella direzione di larghe intese con il Cavaliere.

 

Berlusconi e le condizioni sul Colle 

Dall’altra parte Berlusconi non abbandona la sua posizione: alla luce del risultato elettorale e visto l’atteggiamento del MoVimento 5 Stelle l’unica strada è la grosse Koalition tra le altre due principali forze politiche. L’alternativa è il voto e nel Pdl c’è già chi ha individuato una data possibile: 7 e 8 luglio. Per la verità un tertium sarebbe possibile: un governo guidato da Bersani con un appoggio esterno (o una non ostilità) del Pdl. Ma la contropartita è chiara: al Quirinale dovrebbe andare una figura espressa dal centrodestra. Tolta la sua candidatura, il Cavaliere continua ad accarezzare il sogno di Gianni Letta che, secondo un sondaggio di Ipr marketing diffuso ieri, raccoglie il consenso del’11% degli italiani, dietro aEmma BoninoMario Draghi e Romano Prodi).

 

Renzi: Bersani non ha vinto le elezioni 

Il sindaco di Firenze si fa risentire con parole che sicuramente non faranno piacere al segretario democratico: «Mi hanno dato del qualunquista perché ho detto che si sta perdendo tempo, prometto di non dirlo più ma voi potreste per favore smettere di perdere tempo? Bisogna, elezioni o no, che vi mettiate d’accordo, che si decida». Quindi l’affondo: «Non ho vinto le primarie, ha vinto Bersani. Il problemino è che poi Bersani non ha vinto le elezioni». In mattinata il segretario aveva mandato un messaggio a Renzi: «Le discussioni vanno bene, ma bisogna stare attenti ai toni e avanzare le proprie proposte nei luoghi giusti, cioè nella direzione Pd». Poi una nuova smentita sulle voci di scissione: «Starò sempre dentro la sinistra perché non ne posso più di quelli che si fanno i partiti personali».

 

I numeri del centrosinistra e un nome condiviso 

Il nuovo inquilino del Quirinale è stato l’argomento di discussione tra Bersani e Berlusconi. «Nessun nome ma metodo condiviso» ha riferito Letta. «La responsabilità della prima proposta spetta alla nostra coalizione “Italia bene comune”» ha chiarito ieri il segretario parlando al gruppo del Pd alla Camera per poi chiarire che il partito non accetterà «ricatti o scambi ma non avremo neanche posizioni settarie. Serve una soluzione condivisa». Parole significative considerando che il centrosinistra avrebbe quasi i numeri per eleggere, dopo il terzo scrutinio, un proprio esponente: basterebbe trovare 9 voti da aggiungere ai 495 per raggiungere la maggioranza richiesta di 504. Uno scenario che chiuderebbe però ogni dialogo con il centrodestra e segnerebbe forse la chiusura anticipata della legislatura. «Vogliamo che si parta con l’idea di eleggere un presidente largamente condiviso che interpreti l’unità nazionale e ci sembra che il Pdl voglia muoversi su questa strada», ha spiegato Letta.

 

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