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ECONOMIA
Chiude la lavanderia otto lavoratori licenziati per crisi. Quasi tutti quarantenni, i dipendenti della piccola azienda trattavano anche le divise delle municipalizzate
di Alfredo Faetti
MASSA MARITTIMA Il sogno di due fratelli di Massa Marittima e di otto lavoratori si è infranto contro i freddi numeri della crisi. Il sogno di una piccola azienda, una lavanderia, che nel corso del tempo è riuscita ad espandersi, in termini di servizio e occupazione. Ma la curva delle entrate negli ultimi anni ha iniziato ad abbassarsi, fino a toccare minimi che hanno iniziato a far presagire le fine dell’attività, arrivata poi in questi giorni. Otto dipendenti hanno firmato la settimana scorsa la lettera per i licenziamento collettivo, che scatterà a partire da lunedì. Sono tutte persone con quarant’anni in media: non più abbastanza giovani per lanciarsi a capofitto in una nuova avventura, non ancora abbastanza vecchi per andare in pensione. «Non so cosa succederà ora» dice una di loro, Michela Fidanzi. È uno dei tanti esempi di come la crisi finanziaria sia vera e presente anche sul nostro territorio. Eppure la ditta Lavanderie dell’Alto Adige spa è stata una piccola società in costante crescita. «Un’azienda che si è sempre comportata in maniera egregia – dice Michela – sia con i lavoratori sia con i clienti». Tant’è che nei momenti più bui (quelli recenti) non ha mai smesso di dare un sostegno ai suoi dipendenti, sia attraverso gli ammortizzatori sociali prima sia con la concessione del tfr poi. «Su questo non ho nulla da dire» continua la donna. Lei ha lavorato negli uffici della lavanderia per 17 anni. È di Massa Marittima, anche Michela, così come altri cinque lavoratori rientrati nel licenziamento collettivo. Gli altri due, invece, sono uno di Gavorrano e l’altro di Grosseto. E a partire da lunedì, ultimo giorno di lavoro, tutti saranno messi in stato di mobilità. Oggi però, guardandosi indietro, c’è chi rimane anche stupito di come siano andate le cose. La lavanderia nasce dal sogno di due fratelli originari di Massa Marittima che un giorno decidono di trasferirsi in Trentino Alto Adige. Nella Città del Balestro però aprono questa piccola azienda di lavanderia, a Valpiana. «Inizialmente lavoravamo con la biancheria piana» racconta Michela. Ovvero lenzuoli di alberghi, ospedali e così via. «Poi siamo passati a trattare gli abiti da lavoro per le municipalizzate», come le pettorine degli spazzini, per fare un esempio. Un canale con il pubblico che comunque non chiude le porte a contratti con i privati. «Avevamo un grande giro di lavoro, capace di arrivare anche in Sicilia» spiega la donna. Gli affari vanno bene: la Lavanderie Alto Adige riesce ad acquistare macchinari all’avanguardia nel campo e a dare possibilità di lavoro al territorio. «Oltre noi, la ditta aveva fatto anche dei contratti part time a dei giovani. Dava delle possibilità, insomma. E poi…». E poi è arrivata la crisi. Quella vera, che fa scomparire i soldi e con loro tutto il lavoro. Le aziende private che lavoravano con la Lavanderie Alto Adige spa hanno iniziato a ritardare nei pagamenti (se non proprio a saltarli), le commissioni sono diminuite e gli appalti firmato non sono andati quasi mai in porto. All’inizio del 2010, così, i dipendenti hanno iniziato ad assaggiare la cassa integrazione: un giorno, due, tre, fino all’attivazione di quella a zero ore. «Speravamo di poter riaprire» spiega Michela. Invece la situazione non è andata migliorando e quei numeri una volta amici hanno sancito la fine del sogno. «Io ho quarant’anni e una laurea breve in fisioterapia – dice Michela – Ma ho sempre lavorato negli uffici dell’azienda. Ho seguito, grazie alla proprietà, corsi di aggiornamento e formazione. Ma ora è difficile trovare qualcuno che ti dia un posto».