Il politico di professione (parte prima)

 

 

 

di Andreas Voigt

 

 

 

Credo di toccare un argomento piuttosto delicato, probabilmente a rischio di demagogia spicciola. Lo so, ne sono consapevole. Solo che non riesco a farne a meno e soprattutto, penso che non solo abbiamo necessità di riformare la struttura dello Stato con nuove norme ma dobbiamo rivedere anche il modo con cui oggi soprattutto in Italia si fa politica. Il cittadino DEVE riappropriarsi della politica, diventarne parte attiva, senza delegare massicciamente le questioni decisionali a professionisti venuti dal nulla. Già, perchè di nulla stiamo parlando.

 

Sono pochissimi i politici che vantano credenziali importanti, dal punto di vista culturale e di conoscenze specifiche. Quante volte è successo, anche in passato, di avere ministri in dicasteri per i quali, questi non avevano nessuna competenza specifica? E i sottosegretari? Se poi scendiamo di livello e andiamo a toccare le amministrazioni comunali, provinciali e regionali, il problema si allarga a dismisura. Perchè questo? Semplice, quello del politico oggi è un vero e proprio mestiere, con le sue prerogative di casta, con le sue barriere d’ingresso, con una sua vera e propria anima corporativa e associativa. Fare il politico oggi, non è più una missione, un voler impegnarsi per gli altri, per la comunità, esternare idee ed opinioni ad uso e consumo del progresso sociale, no! Fare il politico oggi è come fare l’avvocato, il commercialista, il pubblicitario, il macellaio o il rigattiere. Eppure dovremmo tutti essere un poco politici, per riaffermare il nostro impegno sociale, essere protagonisti del progresso e della creazione di nuova ricchezza intellettuale ed economica. Ma abbiamo preferito lavarcene le mani. Il gioco sporco della politica, del compromesso, degli affari sporchi, lo abbiamo lasciato a chi pensavamo fosse più bravo di noi, ma ci siamo sbagliati di grosso.

 

La nostra è una democrazia indiretta. Cioè noi eleggiamo persone che ci dovrebbero rappresentare, in un sistema parlamentare, per “condurre gli affari di Stato” per usare una terminologia molto spiccia. Gli unici atti di democrazia diretta che conosciamo sono i referendum, quelli che poi mandiamo a monte non andando alle urne e non raggiungendo il quorum. Risultato, preferiamo delegare agli altri l’uso della nostra libertà.

 

Ma, la nostra non è una democrazia indiretta perfetta. Noi in realtà non scegliamo rappresentanti politici, ma ce li facciamo consigliare dai partiti, cioè non abbiamo più il voto di preferenza. Sostanzialmente, i partiti politici, vere strutture economiche e sociali, con vita propria, ci consigliano i loro candidati secondo meccanismi che “non ci devono interessare”. Su cosa si basano i criteri di scelta dei rappresentanti politici che ci vengono così opportunamente nascosti, non lo sappiamo. Meritocrazia? Professionalità? Credibilità? Preparazione? Niente di tutto questo. La scelta di un candidato spesse volte segue ragioni opportunistiche non legate ad una sana preparazione personale. Chi ha più consenso vince e tira il carro. Ma sappiamo bene che in Italia il consenso è frutto molto spesso di rapporti clientelari, mafiosi, inciuci finanziari, accordi criminogeni e criminali, che con il vero rapporto democratico tra cittadino e politico non hanno nulla a che fare.

 

 

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