tratto da www.ilmessaggero.it
ROMA – Avevano fatto platealmente un passo indietro i vecchi leoni del Pd, in questa campagna delle primarie. Ma ieri notte, alla festa della vittoria, rieccoli: a cominciare da Massimo D’Alema e Rosy Bindi.
«Avete rottamato la rottamazione!», gli grida qualcuno nella sala del Capranica, strapiena di parlamentari, di militanti, di cittadini. C’è chi balla, chi grida «ora a palazzo Chigi!», chi lo ribattezza palazzo Pigi (giocando con il nome del candidato premier), chi canta a squarciagola le canzoni di Vasco Rossi predilette da Bersani («E non c’è niente che non va / io sono ancora qua» e «Siamo liberi di ricominciareeee»), chi si esalta mentre il vincitore dal palco fa la lista dei ringraziamenti («alla mia famiglia, alle migliaia di volontari, a Renzi che mi ha telefonato e si è sempre comportato bene, a Vendola, a Puppato») e esplode in un boato quando lui manda un saluto affettuoso anche ai «marxisti per Tabacci».
Enrico Letta, Fioroni, Franceschini, Sposetti, tutti i giovani turchi di Bersani, Fassina, Orfini, Gualtieri, Speranza, Giuntella, Moretti, il grande elettore Vasco Errani, il presidente Zingaretti osannato, Gasbarra, decine e decine di parlamentari. Perfino Bobo Craxi. Tra gli artisti, Simona Marchini e Massimo Ghini. Il segretario arriva con i suoi tre moschettieri dello staff, Di Traglia, Gotor, Seghetti, e la regia manda uno dei suoi hit del cuore, quello degli Stadio: «Dimmi che erano i Beatles».
Bersani stavolta non è commosso, ma combat e straripante di allegria. «Noi dobbiamo sempre essere allegri, tranquilli, forti, no? Questi sono i tratti più belli degli italiani», dice lui. E la sala: «Sììììì». D’Alema non ha mai parlato tanto quanto ieri sera con i giornalisti, in mezzo alla sala: «Il danno a Renzi glielo avete fatto voi. Facendogli credere di poter vincere. La prova del budino è nel mangiarlo, adesso tocca a noi renderlo appetibile». Poi, dopo qualche complimento a Renzi, una notazione che suona molto dalemiana: «Renzi è una risorsa? Certo, è sindaco di Firenze».
Arriva un sostenitore di Renzi in sala, che molti conoscono, e sono baci, abbracci, battute: «Vabbè, comunque il voto di Nino Bixio avrebbe cambiato tutto». E lui, in sorridente risposta: «Adesso Bersani dovrà scegliere se tiene di più a Renzi o alla Bindi». La quale, pochi metri più in là, sfoggia la magnanimità di chi ha vinto: «Renzi sul tutti a casa ha costruito il suo consenso ma agli italiani interessa non chi va a casa ma chi viene».
Salta il tappo di una bottiglia di spumante – lo champagne sarebbe poco bersaniano – e la traiettoria che viene data al pezzo di sughero è quella che va dritta verso palazzo Chigi. Poi qualcuno andando via dalla festa si ferma anche a guardare le finestre, ancora accese, delle stanze della sede del governo in cui andrà a sedersi il vincitore di ieri sera, se dopo le primarie supererà pure le secondarie. E lui naturalmente ci crede: «Vi do due giorni di riposo – ha appena detto alla folla – e poi tutti pancia a terra per la battaglia più dura». Risposta: «Sìììì».
D’Alema, parlando con i giornalisti alla festa, conferma: «Non mi ricandido». E aggiunge: «Avevo detto che se vinceva Renzi avrei dato battaglia. Ora ha perso e infatti sono rilassato». Il vecchio leone Sposetti: «Credevo che avremmo vinto ancora meglio. Ma va più che bene così». «A Roma abbiamo il 70 per cento», è la notizia che piove insieme a tanta pioggia vera. Ed è proprio un B-day, anzi una B-night. Il profumo del trionfo già da ieri mattina aveva spinto i collaboratori del leader a cercare per la serata un luogo all’altezza della vittoria. Il tempio di Adriano? Purtroppo è già occupato, ed è un peccato perché la concezione mite del potere che aveva quel grande personaggio storico va molto a genio al «tranquillo riformista», come Bersani si autodefinisce.
Festeggiare al comitato elettorale romano? Il luogo è poco solenne e non troppo spazioso. Qualcuno ha scherzato: «A chi va chiesta l’autorizzazione per usare il Colosseo, a Diego Della Valle o a Gasbarra e Zingaretti che saranno i prossimi sindaco di Roma e governatore del Lazio?».
Ci sono anche, in rappresentanza dei due partiti alleati, i socialisti e Sel, Riccardo Nencini e Gennaro Migliore. Ma ora è tardi. Andando via un anziano militante tira fuori da chissà quale anfratto della memoria un vecchio sonetto romanesco di Maurizio Ferrara, papà di Giuliano, intitolato «Doppo er 20 giugno» (del ’76, quando il Pci ottenne il maggior successo elettorale della sua storia): «Dio che vittoria! E mo’ so’ cazzi nostri, / qui ce tocca davvero anna’ ar governo».