LA NAZIONE
19.10.2012
«L’Albero non è più quello di prima»
« TANTE ANALOGIE, tutte negative, nei restauri del pavimento del duomo di Siena e dell’affresco dell’Albero della Fecondità di Massa». Questo il giudizio di Gabriele Galeotti, promotore di una lunga campagna in difesa del patrimonio culturale cittadino, recentemente culminata con una richiesta di intervento inviata al ministero dei Beni culturali in cui, attraverso una documentazione fotografica, Galeotti segnala una serie di difformità fra l’aspetto originario e quello restaurato. Stavolta Galeotti non si è fermato al dipinto delle Fonti dell’Abbondanza ma ha preso spunto dalle affermazioni di esperti del settore apparse sulle maggiori cronache nazionali che definiscono il restauro del pavimento del Duomo di Siena «uno scempio perpetrato ai danni di uno dei monumenti più celebri della città e dell’intero periodo gotico italiano». Per Galeotti non c’è la minima ombra di dubbio. Anche l’Albero dell’Abbondanza non rispecchia l’iniziale originalità. «Siamo di fronte — sostiene — ad un autentico giallo intorno alle modalità seguite per l’esecuzione di quei lavori di restauro dove alcune immagini sono state cambiate senza apparenti ragioni, con aggiunte e cancellazioni che hanno finito per modificare la loro versione originale». Casualità? Scarsa attenzione? Premeditazione? Per Galeotti un misto di tutto ciò, lasciando però campo allo stupore considerato che «in entrambi i casi c’è di mezzo la Soprintendenza. I presupposti ci sono tutti — va avanti — l’affresco risale alla metà del tredicesimo secolo rinvenuto nel 1999 durante i lavori di sistemazione delle Fonti dell’Abbondanza, è stato compromesso nel proprio valore storico e artistico a causa di una campagna di restauro irrispettosa dei caratteri artistici, tipologici e formali dell’opera». Nell’agosto 2011 l’affresco dopo un lungo restauro è ritornato visibile, «ma purtroppo in forme alquanto discutibili tali da pregiudicarne fortemente l’autenticità». Molte parti del dipinto, afferma Galeotti, sono state ridipinte arbitrariamente e senza alcun doveroso rispetto delle allegorie d’origine, «facendo ragionevolmente ritenere — conclude — che il suo comprovato valore storico artistico sia stato irrimediabilmente compromesso».