IL TIRRENO
Rassegna stampa quotidiana della Provincia di Grosseto a cura dell’URP
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2012-10-11
ECONOMIA
«Facciamo qui la Ferrari dell’acciaio» Bellini invita a imitare l’Emilia: ripartire dalla cultura siderurgica per sviluppare nuove aziende
L’INTERVISTA
PIOMBINO L’altoforno che svetta, ormai inutile, sullo sfondo del mare. Niente fumi dalle ciminiere. Piombino senza le sue acciaierie, uno scenario da catastrofe al quale non crede il professor Nicola Bellini, docente di economia alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e fra i coordinatori del Progetto Val di Cornia, voluto dai Comuni della zona per individuare scenari alternativi a quella che è tuttora la monocultura della siderurgia. «Non credo che a breve ci possa essere un’opzione zero per le fabbriche piombinesi – dice Bellini – è invece verosimile che si vada a una diminuzione graduale, anche molto forte, dell’economia basata sulle acciaierie così come sono oggi. Questo però non significa la rinuncia totale alla siderurgia. Semmai bisogna chiedersi quale siderurgia vogliamo per il futuro» E quale siderurgia si può ipotizzare per il futuro di Piombino? «La domanda dovrebbe essere: vogliamo una siderurgia italiana o non la vogliamo più? E questa domanda, trovando anche la risposta, dovrebbe farsela il governo. Insomma, a Piombino come all’Italia serve una politica industriale. Ora l’incertezza frena tutto». Ma il governo che tipo di scelte dovrebbe fare? «In questa fase qualsiasi decisione può andare bene, purché ci sia. L’incertezza è la cosa più penalizzante. Se si immagina di individuare una parte della siderurgia piombinese per produzioni di qualità e alto valore, qualcuno può decidere di investire, ma deve interfacciarsi con i livelli istituzionali. Il governo dovrebbe dire: questo è il tipo di industria che vogliamo e lo sosteniamo; oppure, no, non ci interessa e mettiamo in campo altro. Ma queste scelte non possono essere fatte a Mosca o da un giudice come a Taranto, le deve fare il governo». Questo può valere anche per altre situazioni critiche vicine, come la raffineria di Livorno o il comparto metalmeccanico apuano? «La situazione di incertezza è simile in tutta la Toscana, in tutta Italia. La domanda è sempre la stessa: che industria vogliamo avere? Le decisioni non si stanno prendendo a Roma, ma mi pare che ci sia confusione anche a Firenze. Molti Paesi, invece, stanno già portando avanti politiche industriali attive e aggressive. La crisi serve anche a questo, è un’opportunità di trasformazione e di riposizionamento. Se la si coglie, alla fine della crisi si è in pista, altrimenti qualcuno ci sarà passato avanti». Voi del Sant’Anna state cercando per la Val di Cornia economie alternative a quella siderurgica. Che scenari si possono immaginare? «La Val di Cornia è un po’ l’Italia in miniatura, ci sono rappresentati quasi tutti i settori economici, e ci sono in scala le stesse caratteristiche e problematiche nazionali. Il denominatore comune degli scenari futuri, in tutti i settori, deve essere la qualità, e quindi tecnologia, ricerca, intelligenza. Perciò turismo moderno, non di massa, destagionalizzato. Non si può pensare che l’alternativa sia affittare ombrelloni. Lo stesso per l’agricoltura; serve un modello avanzato, tipo il modello Bolgheri che puntando su tecnologia e ricerca è riuscito ad attrarre investimenti importanti. Qualcosa, penso a Suvereto, si sta muovendo, ma c’è ancora molto da fare. Poi c’è il porto, che è una grande opportunità da giocare. E c’è quell’altra Piombino che non è siderurgia; c’è una mentalità imprenditoriale vispa, risorse di intelligenza, cultura manifatturiera: bisogna darle voce. Pensando a un modello già esistente a quale ci si potrebbe ispirare? «Piombino si candida naturalmente per la ricerca di tipo industriale e per i servizi avanzati. Penso al modello emiliano basato sulla meccanica, una diffusa conoscenza fin dal dopoguerra che ha saputo declinarsi in decine di modi diversi, dal biomedicale alla robotica, dalla Ferrari alla macchina per inscatolare i pomodori. Piombino ha una conoscenza siderurgica unica che combinata con altri settori e supportata dalla ricerca può attrarre investimenti e lavorare sulle tecnologie di utilizzo, sulle applicazioni, piuttosto che sulla produzione. Insomma, si può attivare un processo di scoperta imprenditoriale basandosi sui punti fermi già esistenti». Nicola Stefanini