IL TIRRENO
Rassegna stampa quotidiana della Provincia di Grosseto a cura dell’URP
2012-08-15
ECONOMIA
Dal grattacielo si vede la crisi Follonica: 23 piani, era il più alto della Toscana. Ma ora il cemento uccide il turismo
di Antonio Valentini
Follonica voleva essere un’altra cosa, era nata per sentirsi una città diversa. Se i palazzi non ne avessero deturpato il profilo, si sarebbe compiaciuta della sua rada bellissima. E invece s’interroga sulla propria identità, su una vocazione da sempre indefinita, a cavallo tra la città operaia e turistica, tra il nodo commerciale e il centro di servizi. Ma qualunque cosa fosse stata, Follonica era destinata a sentire i morsi della crisi, con le miniere chiuse, le industrie del Casone ridotte in termini occupazionali, le acciaierie della vicina Piombino dal futuro incerto, il turismo scoperto tardi e solo quando la pianificazione territoriale gli aveva ritagliato un ruolo da comprimario. Eppure quest’estate – intrisa di un avvilimento collettivo ingigantito dalla crisi – avrebbe richiesto qualche certezza ulteriore. Se a Follonica si fosse scelto di cementificare con garbo, forse il turismo si sarebbe sviluppato di più e giovedì quella pizzeria del centro non avrebbe fatto solo 80 coperti rispetto ai 250 del 9 agosto di un anno fa. Né Silvio Passini, discendente della famiglia che da 50 anni gestisce il ristorante-albergo “Il piccolo mondo” avrebbe usato toni tanto cupi: «Per molti è l’ultima estate, non riusciranno a passare l’inverno. Chiuderanno». Forse, s’intende. Perché c’è chi dice il contrario: nella diversificazione economica di Follonica sta il suo vigore. Ventiduemila abitanti, 20mila alloggi censiti, 9.300 seconde case. Il sindaco Eleonora Baldi la descrive come un albergo diffuso: «I limiti possono essere letti come risorse. La città non chiude mai per ferie e al fianco di un’economia tradizionale ne è sorta una parallela». Il turismo, appunto, compresso dalla smania cementificatoria. In nessun altro punto della Toscana rivierasca c’è un ammasso di casermoni a pochi metri dalla spiaggia come qui. Tutto è iniziato verso il 1960, quando fu realizzato il complesso delle Tre Palme. Condomini di dieci piani, larghi e tozzi come quelli di Torre Annunziata, che avrebbero dovuto collegarsi al mare attraverso un avveniristico cavalcavia. Furono rasi al suolo anche i bagni Nettuno e Aurora per far posto a qualcosa che assomigliasse a un’oasi, ma dopo 50 anni del palmeto non c’è traccia. Restano solo i colossi di cemento invecchiato. Poi nel 1962 la Edilnova realizzò la Torre Azzurra, 23 piani solitari in piazza Istria, ribattezzata piazza XXV Aprile: «Fino a quando fu costruito quello di Livorno, rimase il grattacielo più alto della Toscana – ricorda Carlo Bernardeschi, in paese conosciuto come “Attila” -. Eravamo ragazzi e i primi tempi salivamo in cima a piedi. Guardavamo di sotto e ci prendeva la paura». Follonica era una città operaia. Da sola la Montecatini, al Casone, impiegava 6-700 persone. Gli altri, quando non lavoravano alle acciaierie di Piombino, si dividevano tra le fonderie dell’Ilva, i sugherifici, il conservificio, la fabbrica di pipe. Si era in pieno boom economico e le campagne si svuotavano. Servivano case per chi conquistava il posto fisso. Solo che quando, poi, gli operai diminuivano, il calcestruzzo non si fermava: «Ora si potrà dire che l’industria e il cemento – aggiunge Bernardeschi – hanno ammazzato il resto. In realtà del turismo si sono accorti dopo. Come a Piombino: quanta gente si è sfamata con le villeggiature e quanta col polo siderurgico?». Ora che la grande industria è stata ridimensionata, Follonica non è più una città operaia. Ma nemmeno si è consacrata come mèta turistica d’eccellenza. Né può sperare di diventarlo, dovendosi accontentare delle seconde case e della sua identità di “albergo diffuso”: «La presenza di un’economia parallela – spiega il sindaco Baldi – attenua gli effetti della crisi. Tuttavia da noi le ripercussioni si sentono più in termini di capacità di spesa che di flussi». E dunque non ci si meravigli se la gente affolla ogni sera la centralissima via Roma, se si riversa in massa sul bel lungomare che stride con gli alveari di 50 anni fa e se poi il volume di affari di bar, ristoranti e alberghi rivela numeri da profondo rosso: «E’ il primo anno che non saremo congrui con gli studi di settore – dice Silvio Passini -: a gennaio, febbraio e marzo chiuderemo: non era mai successo. L’ex sindaco Claudio Saragosa lo diceva: non siamo nati per il turismo». Eppure i numeri autorizzerebbero a pensare il contrario. Ci sono 22 alberghi, piccoli e grandi, 49 ristoranti che d’estate diventano una settantina. Gli ingredienti perché Follonica fosse un centro di villeggiatura ci sono tutti, ma nessuno ci ha mai creduto sul serio. E non tanto perché a Salciaina si è costruito persino nella palude, davanti a una pineta di rara bellezza. O perché la formula originaria dei villaggi turistici era sbagliata, come dimostrano le chiusure del “Maresì” e del “Veliero”. Quanto perché il turismo era un accessorio di cui si poteva fare a meno, anche se ora tutti si lamentano di un calo delle presenze stimabile nel 20-25% a causa della recessione e del mercato delle case estive che non tira: in luglio si affittavano per 800 euro gli appartamenti che l’anno prima ne costavano 1800. Nulla d’internazionale, intendiamoci: i villeggianti di Follonica sono da sempre le famiglie senesi, fiorentine e aretine. «Tuttavia la nostra terra è più amata dagli stranieri che dagli abitanti – si lamenta il pittore Giuliano Giuggioli -. Qui non si fa caso a perle come Massa Marittima, Vetulonia, Populonia. Ci si accontenta delle ricche pensioni delle miniere, che ora stanno esaurendosi». Il commerciante Eugenio Massai osserva lo struscio serale in via Roma. Una folla, ma i negozi sono vuoti. Ha saputo preservare il suo com’era, con i contenitori della pasta sfusa e dei cereali secchi, le vecchie ghiacciaie, la macchina per la torrefazione del caffè e le bilance Berkel. Della propria famiglia di speziali conserva tutto, compreso il gusto per le cose buone: «A Follonica venivano Fellini, Gassman, si facevano concerti e si fermava il Cantagiro. E invece guardi ora, è una sciatteria. Se muoio oggi, muoio male». (ha collaborato Paola Villani)